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Tutto è portare a termine e poi generare.
Lasciar compiersi ogni impressione e
ogni germe d’un sentimento dentro di sé,
nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio
irraggiungibile alla propria ragione, e
attendere con profonda umiltà e pazienza
l’ora del parto d’una nuova chiarezza:
questo solo si chiama vivere da artista:
nel comprender come nel creare.
Qui non si misura il tempo, qui non vale
alcun termine e dieci anni son nulla.
Essere artisti vuol dire: non calcolare e
contare; maturare come l’albero, che non
incalza i suoi succhi e sta sereno nelle
tempeste di primavera senz’apprensione
che l’estate non possa venire. Ché l’estate
viene. Ma viene solo ai pazienti, che
attendono e stanno come se l’eternità
giacesse avanti a loro, tanto sono
tranquilli e vasti e sgombri d’ogni ansia.
Io l’imparo ogni giorno, l’imparo tra i
dolori, cui sono riconoscente: pazienza è
tutto!
MAGGIO 2024
IL CIELO ITINERANTE
Intervista a Irene Valenti
Fondazione Italia Patria di Bellezza
EDITORIALE
Tutti i dirirtti riservati
Rainer Marila Rilke, Letters to a young Poet
1
n°1
Andrea Furegato
Alessandro Sancino
Irene Valenti
SEGNALI DI BELLEZZA
GENERAZIONI
La poesia dice e non dice. Dice la verità ma non la proclama ~ Mahmud Darwish
Questa sezione è proposta in collaborazione con
Fondazione Italia Patria della Bellezza
di Elena Granata
Leggi
SEGNALI DI BELLEZZA
I giovani al centro del Rapporto Italia Generativa
UPSKILL 4.0Generatività e design thinkng a sostegno delle imprese
GENERAVIVO
L'abitare generativo fondato su fiducia e condivisione
È.One abitarègenerativo
Paula Modersohn-Becker Ritratto di Rilke 1906
Public domain - Wikipedia
di Gian Luca Beneventi
di Alessandro Sancino
di Andrea Furegato
INTRODUZIONE di Patrizia Cappelletti
ECOSISTEMA
INDICAZIONI PER UN USO SEMPRE PIÙ CONSAPEVOLE DELL'AI
G. Beneventi
PENSIERO
1 - GENERAZIONE LAVORO
G. La Rocca
2 - I GIOVANI AL CENTRO DEL RAPPORTO ITALIA GENERATIVA
A. Furegato - P. Cappelletti
GeneravivoL'abitare generativo fondato su fiducia e condivisione
2
QUESTION TIME
GENERAZIONI
di È.One Abitarègenerativo s.r.l.
L’ORGANIZZAZIONE GENERATIVA
Accrescere la vita senza distruggere il mondo
M. Magatti
di Giacomo Checchin
UPSKILL 4.0
Generatività e design thinking a sostegno delle imprese.
G. Checchin
GENERATIVITÀ SOCIALE: società e generazione di valore pubblico
Riflessioni del professor Jacob Torfing
A. Sancino
ECOSISTEMA
realizzati con il supporto di
VIE
LABORATORIO DI MANAGEMENT GENERATIVO
INTERNAZIONALE
LABORATORIO è la sezione dei Quaderni Genialis dedicati alle organizzazioni incontrate nel Laboratorio di Management Generativo.Destinato a figure apicali nelle organizzazioni, il LMG è un luogo di confronto e di ideazione collettiva ispirata dalla generatività sociale, in vista di sperimentazioni concrete nelle organizzazioni. Il LMG intende stimolare lo sviluppo di nuovi modelli di pensiero e di azione manageriali generativi di un “di più” di valore e accompagnare sperimentazioni trasformative dei contesti, nell’intreccio tra riflessione e formazione, dimensione teorica e pratica.
AUTO-DA-FÉ: il coraggio e il rischio
L’esperienza di Zordan
P. Cappelletti, R. Della Valle
web project & design Sch! Studio
QUESTION TIME
Il pensiero pratico delle donne sulle città
LabMG
Coordinamento Scientifico:
Prof. Mauro Magatti, Dott.ssa PhD Patrizia Cappelletti
L’organizzazione Generativa
Accrescere la vita senza distruggere il mondo
edizione n.2 - Ottobre 2024
IL PENSIERO PRATICO DELLE DONNE SULLA CITTÀ
E. Granata
INTERNAZIONALE
Indicazioni per un uso(sempre più) consapevoledell'AI
Generazione lavoro: come promuovere lo sviluppo locale attraverso i giovani
di Mauro Magatti
Hanno collaborato a questo numero:
Gian Luca Beneventi
Giacomo Checchin
Elena Granata
Il Cielo ItineranteINTERVISTA a Irene Valenti
I Quaderni Genialis sono un progetto di
Generatività Sociale:
Società e generazione
di Valore Pubblico.Riflessioni del professor Jacob Torfing
Auto-da-féL'esperienza di ZORDAN
PENSIERO
VIE
di Giuseppe La Rocca
EDITORIALE
È.one abitarègenerativo
Carlotta Toscano
Riccardo Della Valle
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edizione #1 Maggio 2024
Appunti
per organizzazioni
inquiete
L'ultima edizione dei Quaderni Genialis è riservata ai Soci aderenti a Genialis.
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Ogni Quaderno verrà reso pubblico a distanza di sei mesi dalla data di pubblicazione.
ECOSISTEMA
INTERNAZIONALE
VIE
GENERAZIONI
SEGNALI DI BELLEZZA
#1
QG#1
LMG
VIE
GENERAZIONI
ECOSISTEMA
SEGNALI DI BELLEZZA
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edizione n.1 - Maggio 2024
Irene Valenti
È.one abitarègenerativo
Carlotta Toscano
Riccardo Della Valle
I Quaderni Genialis
sono un progetto di
Hanno collaborato a questo numero:
Gian Luca Beneventi
Giacomo Checchin
Elena Granata
Andrea Furegato
Alessandro Sancino
EDITORIALE
La scienza contemporanea insegna che l’intera realtà - e più specificatamente la vita - è costitutivamente relazione. Lo dice la fisica quantistica, lo dice la biologia, lo dicono le neuroscienze.
UPSKILL 4.0Generatività e design thinking a sostegno delle imprese
Dove la questione di fondo è se, e a quali condizioni sia possibile accrescere la propria vita senza distruggere il mondo. Il che significa, nei termini del discorso che stiamo sviluppando, incorporare nel nostro modello di sviluppo la struttura (neghentropica e sintropica) della vita stessa.
Una questione che a tutt’oggi rimane aperta e che apre un campo enorme di ricerca e sperimentazione di nuove forme e soluzioni all’altezza delle sfide che abbiamo davanti a noi.
Ma cosa vuol dire essere organizzazioni neghentropiche e generative?
Allo stato attuale dei fatti non ci sono risposte esaurienti a questa domanda. Ciò di cui disponiamo sono alcune piste di lavoro attorno a cui si vanno aggregando quelle organizzazioni che capiscono il problema e che intendono affrontarlo in modo innovativo.
In queste pagine ne nominiamo tre.
In primo luogo, l’organizzazione neghentropica e generativa pensa e pratica la propria autonomia - che costituisce un valore imprescindibile - non in modo assoluto ma relazionale. In relazione a ciò che viene prima (la storia, la tradizione, etc.), a ciò che sta intorno (l’ambiente, il contesto sociale e istituzionale etc.) a ciò che viene dopo (le nuove generazioni, l’innovazione, etc,). E tutto questo non a discapito della capacità di iniziativa e/o di innovazione, bensì come leva per rafforzare lo sforzo innovativo che caratterizza l’impresa. E, con esso, il vantaggio competitivo. Come soggetto moderno, l’impresa esiste perché è capace di andare oltre, di innovare, di trasformare, di immaginare, di migliorare. Ma tale tratto distintivo va sempre più giocato nella consapevolezza del costitutivo legame che struttura la vita. Uno sguardo e una pratica che fa parte del dna della forma capitalistica italiana.
EDITORIALE
facoltà di conoscere ciò che lo circonda, di dargli significato (legein) e di trasformarlo (teukein). In questo senso, l’essere umano è in grado di fare un passo in più rispetto alle altre forme di vita: non solo la vita umana si mantiene, ma è capace di creare nuove forme (arte, tecnica, socialità, simboli, senso). Come scriveva Hannah Arendt, ogni persona, nella sia unicità, viene al mondo per “incominciare”: l’essere umano ha la facoltà di mettere al mondo ciò che ancora non c’è. Di creare, cioè, mondi dentro cui esprimere la propria vita. Insieme ad altri.
Diremo allora che la vita umana é sintropica.
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L’etichetta sotto cui queste domande sono raccolte é quella della sostenibilità. Parola entrata ormai nel linguaggio comune e che proprio per questo rischia di perdere significato. Che cosa vuol dire essere sostenibili per un’impresa contemporanea?Come si misura il suo impatto sull’ambiente sociale e naturale circostante?
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La generatività sociale è un modo per interrogarsi su come le organizzazioni contemporanee possono svilupparsi come soggetti capaci di accrescere la vita - mediante il loro operare concreto - senza distruggere il mondo.
hanno dato conto - l’impresa si è concentrata sulla massimizzazione del profitto. Ma, detto che il criterio della profittabilità rimane un parametro qualificante dell’impresa contemporanea, è chiaro che la complessità sociale e culturale delle nostre società richiede un arricchimento del purpose - cioè dello scopo di senso - perseguito. Il dibattito internazionale degli ultimi anni lo ha peraltro ampiamente documentato.
di Mauro Magatti
sociologo ed economista, è professore ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dirige il Centro di Ricerca ARC (Centre for the Anthropology of Religion and Generative Studies) ed è editorialista del «Corriere della Sera»
Un tale esito non è casuale, ma è il portato di una grave sottovalutazione: ciò che non abbiamo considerato é che l’aumento delle possibilità di vita moltiplicato per miliardi di singoli individui - cioè il contenuto fondamentale dell’idea di crescita economica affermatasi negli ultimi 40 anni - avrebbe avuto un impatto rilevante sul contesto ambientale e sociale circostante. E questo per la ragione sopra richiamata: “più vita umana” è un obiettivo che è stato raggiunto modificando in profondità l’equilibrio neghentropico del pianeta, con conseguenze che stiamo cominciando a capire solo adesso: i tanti problemi che l‘attuale fase storica pone in agenda (cambiamento climatico, disuguaglianza, crisi delle relazioni internazionali, populismi …) trovano tutti qui la loro radice comune: sono gli effetti inattesi di quel successo associato alla straordinaria crescita economica realizzata negli ultimi anni.Per districarsi nel tempo della policrisi, il problema è recuperare una comprensione più adeguata di quella forma particolare di vita che è la vita umana, caratterizzata da un’intrinseca libertà che non può però perdere la sua altrettanto costitutiva relazionalità.
Come si può ben capire, si tratta di un passaggio decisivo. Perché, oltre alla facoltà di slegare - cioè di guadagnare l’indipendenza - la libertà umana si esprime positivamente in rapporto ai nuovi legami (nuovi mondi) che essa contribuisce a fare esistere.
Ovviamente la dimensione del legame si può esprimere in modi molto diversi: anche la violenza, lo sfruttamento, l’oppressione sono forme di relazione. La sfida - ed è qui che si sviluppa la prospettiva generativa - è quella di costruire mondi capaci di aumentare la vita per sé e per gli altri.
Possiamo così ridefinire la questione che la policrisi porta in superficie: negli ultimi decenni abbiano incrementato in maniera straordinaria la vita umana sulla terra. Ora è necessario riuscire a pensare nuove forme, capaci di accrescere la vita tenendo conto del vincolo relazionale (neghentropico) della nostra libertà.
Il mondo sociale è infatti l’ecosistema in cui la vita umana ha luogo. Ed è per questo che non ha nessun senso contrapporre, come si è fatto nella cultura degli ultimi decenni, l’io al contesto, la libertà all’organizzazione sociale, l’economia e l’ambiente. È pur vero che tra queste dimensioni esiste una tensione che non si potrà mai riconciliare fino in fondo. Ma il paradosso dell’inter-indipendenza sta proprio nella capacità di giocare continuamente questa tensione in senso trasformativo positivo. Realizzando, cioè, nuove forme meglio capaci di ospitare “più vita”. Alla fine è questa la giustificazione fondamentale della rilevanza che l’economia ha nelle nostre vite.
L’idea di sviluppo adeguatamente intesa ha a che fare esattamente con la creatività che sprigiona da questo processo. Da qui deriva anche l’idea di “più vita” che decidiamo di perseguire.
Più esattamente, il premio nobel Erwin Schrödinger ha affermato che la vita è un fenomeno “neghentropico” cioè di resistenza all’entropia (tendenza al disordine, alla disgregazione) attraverso una relazione dinamica con l’ambiente circostante. Gli organismi sono viventi, nel senso che sono in grado di realizzare una serie di stati provvisori di equilibrio - una condizione di metastabilità che coniuga stabilità e cambiamento all’interno di un determinato ecosistema - basati sullo scambio continuo con l’ambiente, che consente alla vita di esistere.
Questa affermazione vale anche per quella forma così particolare che è la vita umana. La quale è in grado di interagire con l’ambiente circostante con un grado di libertà che le altre forme viventi non hanno. Grazie all’autocoscienza e alla capacità di prendere le distanze dalla situazione nella quale si trova, l’essere umano ha la
In secondo luogo, l’impresa neghentropica e generativa riconosce che, al di là dei fini strumentali per cui è costituita, la sua natura più profonda ha a che fare con costruzioni di mondi in cui la vita umana si possa esprimere e fiorire. Seguendo Donald Winnicot - il grande psicologo americano che ha lavorato sull’importanza dell’oggetto transizionale (la copertina di Linus, l’orsacchiotto…) - le organizzazioni neghentropiche e generative sanno che il prendersi cura della vita passa attraverso la concretezza del fare e dei processi produttivi. Senza però dimenticare che il vero punto attorno a cui oggi le persone sono disposte a ingaggiarsi è l’accrescimento della vita, propria e altrui. Un obiettivo raggiungibile creando mondi organizzativi coerenti. Ciò significa che il punto fondamentale da cui origina e a cui tende una impresa non sono tanto gli oggetti prodotti o i processi produttivi (che ovviamente rimangono importanti!), quanto piuttosto la vita e il suo accrescimento. A cominciare dalle persone che lavorano all’interno, passando dai fornitori, i clienti o le comunità nelle quali si è inseriti. La cosa interessante è che questo sguardo “umanistico” se da una parte espone a rischi di inefficienza e particolarismo, dall’altro costituisce un punto di differenza fondamentale che qualifica e ad avvantaggia le organizzazioni italiane.
Per questa ragione, ed è il terzo punto, le organizzazioni neghentropiche e generative sperimentano e mettono in pratica una nuova intelligenza che origina nella lettura della complessità della realtà e del modo di operare in essa. Si tratta della intelligenza della “cura”, termine che indica non un generico afflato morale, ma la capacità di operare a partire dalla comprensione e dal rispetto dei processi e delle dinamiche della vita. Di questa nuova intelligenza all’altezza dei tempi abbiamo estremo e urgente bisogno. Da questo punto di vista, le organizzazioni neghentropiche e generative sono chiamate a essere delle front runner in questa ricerca. Anche tenuto conto del ruolo fondamentale da loro svolto nelle società avanzate. L’intelligenza della cura - che poi è intelligenza della complessità - è la condizione per rendere davvero sostenibile il modello di sviluppo.
Cioè da quella formazione storica che, nata liberando la capacità di azione umana dalla cosmologia medievale, si è sviluppata attorno all’idea di sovranità. Sovranità dell’io, della persona giuridica (l’impresa moderna), dello Stato. Reggendosi sulla epistemologia scientifica che presuppone la separazione tra il soggetto e l’oggetto e l’attitudine analitica che permette di spacchettare la realtà nella sue componenti più elementari, la modernità ha reso possibile un enorme salto storico. Lo dimostra il fatto che la qualità della vita umana non è mai stata così alta: oggi viviamo di più e meglio rispetto ad ogni altre epoca storica. Un grande successo che va riconosciuto e valorizzato.
Tuttavia, all’apice delle sue realizzazioni, la società contemporanea si confronta con sfide epocali.I trent’anni di globalizzazione hanno permesso al mondo di realizzare un salto impensabile (il Pil del mondo è raddoppiato in vent’anni, tra il 1990 e il 2010, a una velocità mai vista prima nella storia). Ma lasciano in eredità un mondo altamente entropico: cioè frammentato e disorientato, in preda a shock sempre più frequenti e distruttivi. Una condizione di “policrisi” - come l’ha chiamata Edgar Morin - che suscita ansie e inquietudini profonde.
Come sappiamo, insieme alla potente spinta alla crescita, l’avvento dell’impresa ha comportato non pochi problemi. Basti pensare alle questioni dello sfruttamento e della alienazione del lavoro, due nodi spinosi da cui è scaturito un lungo conflitto sociale che nel corso del tempo si è però andato attenuando, pur senza risolversi completamente. Più di recente si è posta la stessa questione nei termini del rapporto tra le imprese e l’ambiente circostante, sia come ecosistema fisico (col tema della transizione ecologica), che come ecosistema sociale (col tema della responsabilità sociale).
Se, come recitano le definizioni classiche, esse nascono per unire un gruppo di esseri umani nel perseguimento di un determinato obiettivo, ne deriva che la natura del fenomeno organizzativo è esattamente quella quella di costruire mondi (più o meno aperti) in cui la vita umana può svilupparsi trovando sempre nuovi equilibri (che per definizione non possono essere mai definitivi) tra più libertà (cioè più capacità di azione) e più legame (cioè, appunto, più organizzazione).
Nel corso degli ultimi secoli, la forma impresa - una tipo di organizzazione particolare che non esisteva in epoca premoderna - si è affermata come un soggetto particolarmente rilevante all’interno delle società moderne. Dapprima in modo quasi esclusivo all’interno del ciclo produzione-consumo (l’impresa manifatturiera). E poi in una serie molto ampia di attività (ospedali, scuole, pubblica amministrazione, banche etc).
Nella sua costituzione originaria - di cui molti autori, tra cui Max Weber ,
In che rapporto sta la sostenibilità con le trasformazioni tecnologiche legate alla digitalizzazione avanzata e all’intelligenza artificiale? E come si realizza un percorso verso un’economia sostenibile secondo giustizia (condizione per conservare il necessario consenso sociale)?
Realizzarsi, vivere una vita autentica sono diventate aspirazioni condivise da tutti da quando - nella seconda metà del XX secolo - è stato raggiunto dalla maggior parte della popolazione un livello di benessere, d’istruzione e di libertà sufficiente.
Il problema è che l’istanza dell’Io - che ha avuto un ruolo fondamentale degli ultimi decenni - ha teso ad assolutizzare la libertà individuale.Il problema è che, come abbiamo già notato, quella umana è sì una forma qualificata di vita libera. Ma non per questo irrelata.Di fronte alla situazione caotica (entropica) nella quale ci troviamo, la realtà ci sollecita a riconoscere che siamo tutti interdipendenti, cioè legati gli uni agli altri. Il mito dell’io (ma che vale anche per l’impresa o lo Stato “sovrani”) che non ha dipendenze, debiti o doveri nei confronti di chicchessia, non ha riscontro nella realtà. È una astrazione che, al punto di evoluzione a cui siamo arrivati, rischia di essere dannosa.
Anche l’idea di interdipendenza è però insufficiente. Il punto è che l’essere umano, a differenza di altre forme viventi e non, è in realtà “inter-indipendente”. Cioè caratterizzato dal paradosso di essere libero e legato insieme. L’idea astratta di una continua liberazione - secondo la quale il nostro (unico) problema è che non siamo mai abbastanza liberi - finisce per compromettere le stesse condizioni nella quale la libertà può in realtà fiorire.
Occorre dunque fare un passo in più rispetto all’idea di libertà che si è sviluppata nell’ultima metà del ‘900: la libertà nella sua pienezza non può avere a che fare solo con la scelta. Ma anche - e forse sopratutto - con la capacità di creare nuovi mondi e di partecipare alla costruzione di ciò che ancora non esiste.
Ma se ciò è vero, ne deriva allora che l’essere umano - e le forme organizzative e istituzionali che è in grado di costruire - è libero in quanto ha la facoltà di trasformare e innovare la realtà. Creando nuovi legami e nuovi mondi.
Viviamo in tempi sfidanti. Che ci sollecitano a ricercare la via - un po’ per volta, passo dopo passo - di quel nuovo modello di sviluppo che la crisi multidimensionale in cui siamo immersi reclama.Dopo la stagione dell’etica del lavoro e della produzione mutuata, secondo l’insegnamento di Max Weber, dallo spirito protestante; dopo la stagione della “vita a progetto” che, come ha mostrato Luc Boltanski, ha incorporato la spinta individualistica degli anni ‘60 e ‘70 nei modelli della produzione flessibile e della crescita accelerata della globalizzazione; oggi siamo chiamati a sviluppare un’etica della sostenibilità che non si riduca a una mera efficientizzazione tecnologica. >A partire dalla piena acquisizione della complessità della vita, nella sua natura generativa.
Nella misura in cui l’economia è quella parte di organizzazione sociale deputata a produrre nuovi beni in vista di accrescere la vita umana disponibile; e di fronte ai tanti problemi entropici che il successo della crescita economica degli ultimi anni ci lascia in eredità, l’impresa avanzata si trova davanti a nuove domande.
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La crisi nella quale ci troviamo in questo momento storico ha a che fare con il ritardo cognitivo tra quello che noi oggi sappiamo della vita (e in particolare della vita umana nella sua unicità) e le forme sociali economiche, politiche ereditate dalla modernità.
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L'organizzazione Generativaaccrescere la vita senza distruggere il mondo
Arrivati a questo punto, siamo in grado di risemantizzare il ruolo che le organizzazioni possono svolgere all’interno delle società avanzate. Nella varietà delle forme (impresa, associazione, famiglia, chiesa, Stato etc) le organizzazioni svolgono un ruolo neghentropico e rigenerativo.
La cultura moderna ha reso possibile per milioni di persone passare da una condizione di dipendenza (dal patriarcato, dalla tradizione, dalla religione, dal capo azienda ecc.) all’indipendenza: cioè a una condizione di libertà intesa come autodeterminazione.
In Zordan avete avvertito l’esigenza di un rinnovamento profondo, strutturale, in grado di intervenire positivamente sia sui conti economici che sul piano organizzativo. Si è trattato di un cambiamento del “come” attraverso un riequilibro dell’autonomia dei collaboratori e delle responsabilità del management mediante l’introduzione di team autoregolati. Prima ancora, però, è stato necessario preoccuparsi del “cosa”, ossia del cambiamento del contenuto e dell’organizzazione del lavoro. Avete identificato una possibile direzione nell’organizzazione TEAL*, vista come un modello avanzato di auto-organizzazione che traduce la “centralità della persona” come riconoscimento della capacità di iniziativa responsabile. In effetti, nel corso del Laboratorio, la vostra domanda di ricerca è stata: «Come si fa a cambiare la testa delle persone passando da un modello organizzativo dove prevale il principio comando-controllo ad uno fondato sull’autonomia corresponsabile?» Quali sono stati i principali cambiamenti introdotti?
Le figure commerciali, i Project Manager, fungevano da colli di bottiglia nell’organizzazione e le restanti funzioni non avevano sufficiente visibilità sul processo con conseguenti problemi di controllo qualità e di controllo dei costi. All’aumentare della complessità dovuta ad un allargamento del portafoglio clienti le criticità dell’organizzazione sono diventate più evidenti.
Anche il clima aziendale ne stava risentendo, generando perdita di motivazione e stress nelle persone dei diversi reparti.
PODCAST
L’adozione del nuovo modello ispirato alla teal ha sicuramente migliorato il clima aziendale e costituisce ancora oggi un elemento attrattivo per le nuove risorse. Ci ha inoltre supportato nella crescita permettendoci di gestire con maggior flessibilità e reattività volumi di fatturato molto più elevati.
Il rischio più evidente nell’adozione di questo modello organizzativo è lo sviluppo, da parte dei team, di stili lavorativi e prassi molto diversi tra loro. A coordinamento e supporto sono stati inseriti degli organi di staff. Con la crescita importante degli ulti anni la sfida è stata anche allineare tutti i nuovi entranti a questo nuovo modo di fare impresa. Su questo tema dobbiamo mantenere sempre l’attenzione.
Nelle parole della generatività sociale, per descrivere il passaggio dalla prospettiva gerarchica e centralistica del “controllo” a quella eterarchica utilizziamo l’immagine del “lasciar andare”. Si tratta, cioè, di “autorizzare” l’altro – manager, collaboratore, apprendista – per renderlo il più possibile “co-autore” del testo che insieme si sta scrivendo, in un cambiamento che riconosce e dà potere reale alla libertà dell’altro. Sono molte, però, le resistenze a questa trasformazione. Nella vostra esperienza, la libertà personale costituisce un problema o una risorsa per l’impresa? A questo proposito, il management tradizionale andrebbe riscritto?
- Qual è stato il “problema” che Zordan si è trovato ad affrontare?
CHI È
La TEAL organisation è una forma organizzativa che si propone di favorire il pieno sviluppo del potenziale umano in un ambiente dove il self-management prende il posto delle tradizionali strutture gerarchiche. Caratteristiche del modello sono infatti: a) l’auto-organizzazione delle persone: l’organizzazione si configura come un sistema di relazioni sostanzialmente orizzontali guidate da capacità di intrapresa e corresponsbailità; b) la pienezza: le persone sono valorizzate nella loro interezza, non solo per le loro funzioni; c) avere un proposito evolutivo: le organizzazioni Teal hanno uno scopo condiviso con i suoi membri. Nella proposta di Frederic Laloux, autore del libro “Reinventare le organizzazioni” (Guerini Next, 2022), la Teal Organization propone un cambio di paradigma, da un modello “predict and control” a uno “sense and respond”. Questo favorisce la creazione di un nuovo habitat lavorativo più proattivo, creativo e collaborativo.
La prima cosa che dobbiamo smontare è l’eredità del giuslavorismo, ovvero la parola “dipendenti”. Grandi imprenditori del passato che ci hanno ispirato come Gaetano Marzotto JR e Adriano Olivetti non hanno mai usato questa espressione e nessuno all’estero ce l’ha mai copiata.
La nostra organizzazione ci consente di avere un pensiero diverso rispetto alle tradizionali organizzazioni gerarchico-funzionali.
La partecipazione al capitale e soprattutto ai profitti da parte dei lavoratori serve in primis a smontare la dicotomia proprietà-dipendenti e a costruire una solida base di collaborazione. Occorre precisare che la costituzione del Trust su cui stiamo lavorando, è nel campo della sperimentazione e, ad esempio, il principale ostacolo da superare al momento è quello del trattamento fiscale di quei profitti riservati ai lavoratori.
Se l’interpello che abbiamo in corso verso l’Agenzia delle Entrate avrà esito positivo per noi, passeremo alla formalizzazione del Trust e attraverso un comitato i lavoratori potranno indicare un loro rappresentante in cda per poter condividere non solo i risultati ma la strategia.
Ogni sperimentazione ha i suoi rischi di fallimento, per cui ci siamo mossi per tempo con l’aiuto di un team di studenti dell’Università di Padova e abbiamo visto le esperienze già fatte nel mondo e quindi sappiamo già le possibili controindicazioni (freeriding e arroccamento del management) su cui vigileremo e probabilmente troveremo altri aspetti da risolvere. I vantaggi derivanti da una maggiore resilienza di fronte alle crisi di diverso genere e da una maggiore produttività rispetto alle aziende classiche ci fa prendere il rischio.
Abbiamo sempre cercato la motivazione delle persone e casualmente l’abbiamo cercata in un libro uscito in italiano nel 2016 Reinventare le organizzazioni di Fedric Laloux. Da lì è nata l’idea che il modello organizzativo si poteva pensare in modo diverso dagli schemi classici.
Ci abbiamo messo molto a capire come potevamo disegnarlo, ma alla fine è arrivata l’occasione ovvero una crisi di clima interno, qualità e risultati. Quello era il momento giusto per partire senza indugi e rischiare un cambiamento radicale. Abbiamo coinvolto una società di consulenza che ci ha accompagnato, abbiamo sperimentato un prototipo, dimostrando che funzionava molto bene e nel giro di 5 mesi tutto è stato modificato e nessuno di noi aveva nostalgia del modello precedente che guardiamo ora come un vecchio attrezzo da mettere nel museo. La seconda edizione italiana uscita nel 2022 del libro Reinventare le organizzazioni portava il nostro caso e da lì abbiamo anche ispirato molti imprenditori e manager. Ora per noi è quasi una missione divulgare questa modalità anche in campi non strettamente aziendali.
Di fronte a questa “crisi”, Zordan ha scelto di passare da una situazione operativa “ereditata” a una di “rischio”: avete avviato un ripensamento sostanziale dei parametri di valutazione e degli schemi relazionali. È un cambiamento che ha richiesto immaginazione e messa in discussione del sistema di certezze gestionali, e della stessa efficienza di un modello tutto orientato al “funzionare”. Tutto ciò esige un investimento visionario, cognitivo ed emotivo che deve fare i conti con la capacità di rovesciare pratiche, abitudini e rapporti consolidati ritenuti inefficaci. Cosa vi ha spinto in questa direzione?
Dal 2022 è Amministratore Delegato
Giuseppe Caruso, cresciuto professionalmente nell’impresa.
Nelle riflessioni fatte insieme nel Laboratorio avete messo sul tavolo un altro grandissimo tema – ancora poco trattato nel nostro Paese e che rivela il livello di qualità della vostra cultura aziendale – quello della partecipazione dei collaboratori agli esiti dell’impresa. Il fine è dimostrare compatibilità tra libertà d’impresa e sviluppo del potenziale umano occupato, un passaggio importante per preservare il futuro dell’azienda e favorire l’emergere di fiducia sociale condivisa. La vostra prospettiva è molto avanzata. Si tratterebbe di sperimentare un ponte intergenerazionale attraverso un accordo fiduciario con la creazione di un trust legale, un fondo per la distribuzione degli utili. È senza dubbio una “scommessa comune” fortemente innovativa della stessa funzione imprenditoriale. Come lo state progettando e quale obiettivo vi ponete?
L’attuale presidente è Maurizio Zordan, il maggiore di tre fratelli, tutti impegnati nell’azienda di famiglia.
Auto-da-fé: il coraggio e il rischioL'esperienza di ZORDAN
Ci vogliono coraggio e un pensiero audace per sovvertire schemi proprietari organizzativi manageriali. Coraggio e assunzione di rischio implicano sempre una decisione che ha molto a che fare con il desiderio e la coerenza tra quello in cui si crede e quello che si fa.
È lungo questa via che coraggio e rischio diventano esplorazione di nuove possibilità per sé e per altri.
Di coraggio e di rischio racconta la bella esperienza di Zordan che abbiamo raccolto nel laboratorio di Management Generativo. Essa ci conferma come la sostenibilità sia in primo luogo la capacità di “sentire” l’impresa e le sue persone e di adeguare le forme dell’agire alle priorità dell’essere.
Quali sono i risultati raggiunti e i punti di forza del nuovo assetto e quali invece, i maggiori punti di debolezza del modello sul quale state ancora lavorando?
Noi lavoriamo negli Usa e abbiamo avuto quindi la chiara prova che la nostra cultura di fare impresa è molto diversa da quella dominante americana che però dimostra evidenti segnali di crisi nella propria società che si sono trasferiti anche nelle nostre. Tocca a noi quindi il compito di trasformare la complessità in opportunità e Genialis può essere il network che mette insieme le sperimentazioni del modo italiano di fare impresa, le mette a disposizione della comunità di imprese in primis italiane e poi internazionali.
Ci dovrà anche essere un momento in cui questa sperimentazione dovrà superare il confine che separa il privato dal pubblico.
Sarebbe molto bello che la cura delle nostre società arrivasse dalle imprese. Questo è uno dei motivi per cui ho deciso di candidarmi a sindaco di Valdagno e se riuscirò ad essere eletto porterò questo contributo nella comunità.
Partiamo da una premessa: proprietà, management e collaboratori sono tutti custodi temporanei di un’entità (l’azienda) che ha vita propria e che produce un impatto.
Il nostro compito è portare Zordan a produrre valore nel lungo periodo. Per questo è fondamentale che tutte le scelte siano orientate alla conservazione e sviluppo delle risorse e che quindi tengano conto degli impatti che queste hanno su tutti i portatori di interesse (persone ma anche l’ambiente naturale).
People, planet e prosperity non sono solo i tre fondamentali pilastri con cui si parla di sostenibilità, ma anche delle parole che ci aiutano a trasformare valori astratti in linee guida concrete per tutta l’organizzazione.
Questi tre elementi, in particolare, ci guidano nel costruire il nostro sistema d’offerta, il nostro sistema di incentivazione, nel veicolare gli acquisti e nel definire i piani di lavoro. Tutto ciò che realizziamo è espresso nel Report di Impatto, pubblicato una volta l’anno.
Zordan Srl sb è un’impresa familiare nata nel 1965 a Valdagno. Oggi è punto di riferimento per i maggiori brand del lusso per la realizzazione di negozi e spazi retail “belli e sostenibili.”
L’azienda occupa un centinaio di persone tra la sede veneta e quella di Holland, nel Michigan (USA). Il suo volume di affari si attesta nel 2023 attorno ai 25 milioni di euro. Nel 2016 è tra le prime imprese ad aderire allo standard B Corp.
Fino al 2018, Zordan possiede una organizzazione tradizionale, suddivisa per funzione. Il suo organigramma piramidale vede alla base l’area commerciale, l’ufficio tecnico, l’area service, le operations e alla produzione.
I Project Manager gestiscono le relazioni con i clienti, mentre i responsabili di funzione coordinano le rispettive aree e si interfacciano direttamente con i PM.
Ci si accorge però che, con l’arrivo di nuovi clienti, si creano tensioni derivanti dal mismatch tra nuova domanda e capacità di risposta. Emergono punti di blocco e resistenze che pregiudicano la fluidità e la rapidità dei processi, l’efficacia, l’efficienza e il clima organizzativo nel suo insieme.
È l’inizio di una crisi importante che interpella fortemente l’impresa.
IL MOMENTO GIUSTO PER RIPENSARE L'IMPRESA
Anche Zordan ha aderito a Genialis, il nuovo spazio di ricerca, formazione e sperimentazione esito del percorso decennale compiuto attorno alla prospettiva della generatività sociale. Genialis rimanda all’idea che il genio non sia qualcosa di individuale, bensì nasca dalla possibilità, per le persone come per le organizzazioni, di nutrirsi di habitat relazionali vivi, fecondi, fertili, creativi, generativi. Una condizione indispensabile al mantenimento della biodiversità culturale, sociale ed economica. È questo il terreno in cui prende forma la migliore impresa italiana, che si realizza pienamente in una prospettiva circolare: è sostenibile in quanto capace di forme plurime di contribuzione (alle sue persone, alle altre imprese, al territorio). Con questo in mente, e guardando allo scenario globale e alle transizioni epocali in atto (in primis il digitale), qual è – o potrebbe essere – il ruolo dell’impresa italiana? E cosa potrebbe fare, secondo voi, il nuovo network di Genialis?
L’adozione di questo modello richiede alle persone di avere una profonda cultura della collaborazione. Per questo il primo passo è stato creare un team prototipo, che in pieno spirito “TEAL”, ha permesso non solo di sperimentare e affinare, ma anche di generare i primi benefici che sono serviti da stimolo per tutta l’organizzazione.
La transizione verso un modello ispirato alla teal organization per noi si è concretizzato nella creazione di piccoli team multidisciplinari (piccole aziende dentro l’azienda) dedicati alla soddisfazione di uno o più clienti. Tutti i team sono chiamati a contribuire al raggiungimento di un comune obiettivo. Tuttavia, ogni team è libero di definire la strategia per raggiungere il risultato, coadiuvato da una figura di raccordo, chiamata appunto team leader. Caratteristica di questo modello è l’ampia responsabilità personale lasciata all’individuo e l’appiattimento delle gerarchie aziendali (da una logica di controllo ad una di supporto).
Il reparto produttivo, inoltre, è stato interessato da un progetto di lean thinking, coinvolgendo le persone in attività che solitamente erano demandate ai capi reparto e creando un sotto-team per la realizzazione fattiva di ciascuna commessa.
Nel corso di questa esperienza avete messo a fuoco tre parole-chiave che aiutano a dare conto della vostra idea di impresa, del ruolo dell’impresa oggi, di come declinare concretamente l’idea di sostenibilità: People, Planet, Prosperity. Queste priorità, cosa significano per voi e per i vostri partner, fornitori e clienti? Come le state sintetizzando in un piano di azioni concrete?
Laboratorio di
MANAGEMENT GENERATIVO
Se la libertà personale è accompagnata dalla responsabilità non vedo nessun problema, anzi, vedo molte opportunità di crescita per la persona (che vuole crescere) e per i vantaggi che l’azienda può cogliere in termini di creatività.
Per la nostra esperienza ogni persona risponde innanzitutto al suo team di lavoro che è il più potente strumento di azione che abbiamo mai avuto. Il management tradizionale sta già ri-scrivendo i suoi compiti, non fosse altro per la velocità con cui l’aspettativa dei giovani che entrano in azienda lo costringono a rinnovarsi.
Se parliamo ad esempio del massimo livello di responsabilità in ogni azienda ovvero quello dell’AD, la sua ossessione dovrà sempre più essere capace di trattenere, attrarre e motivare le persone. La libertà di azione responsabile è una degli strumenti più potenti che può avere.
Nella vostra esperienza, quali domande vi vedete /vi siete visti rivolgere dalle imprese? Quale idea di AI emerge oggi in modo prevalente: strumento per la minimizzazione dei costi o opportunità per ampliare la capacità di valorizzare l’esistente?
Da sempre la nostra missione è stato prima di tutto basata sull’etica della consapevolezza. Il modello culturale è sempre stato prioritario rispetto al modello tecnologico. Per noi human-centric ha il significato fondante di mettere al centro la libertà e il pensiero critico. Educare sulle capacità e i limiti dell'intelligenza artificiale è parte integrante della nostra proposta di valore e l'approccio formativo lo è dell’attitudine delle nostre persone. Pertanto, quel che suggeriamo alle imprese è sempre di partire dall’educazione, suggerendo come primo passo un workshop di AI Literacy. Successivamente, accompagniamo i nostri clienti nell'esplorazione e nell'implementazione di casi d'uso trasformativi, come precedentemente descritto, con un'attenzione costante agli effetti sulle persone e sull'organizzazione.
Question TIME
Un caso esemplare è stato il nostro progetto nell'ambito HR per una grande azienda del settore energetico, mirato all'analisi predittiva della soddisfazione e della retention del personale. L'integrazione di un'analisi quantitativa dei dati con valutazioni antropologiche, che interpretavano qualitativamente i dati alla luce del contesto storico-sociale, ha prodotto risultati significativi. Questo approccio ha arricchito l'interpretazione dei dati, evitando una loro semplificazione eccessiva e sottolineando l'importanza di un'interpretazione umanamente intelligente da parte della funzione HR. Inoltre, ha permesso lo sviluppo di iniziative mirate, sensibili alle peculiarità culturali locali, ottenendo un impatto più efficace e conferendo alle persone una percezione tangibile di vera valorizzazione della diversità e inclusività.
Cosa suggerite voi alle imprese, ovvero quale impiego dell’AI proponete?
di Gian Luca Beneventi
Chief Operating Officer - Ammagamma Part of Accenture
AMMAGAMMA
MANIFESTO DELLA RAZIONALITÀ SENSIBILE
L'obiettivo principale di numerose richieste si rivela essere la trasformazione dell'impresa in chiave competitiva all'interno di un mercato in crescente complessità. Tale aspettativa, che precede e supera la semplice ricerca di efficienza o di valorizzazione delle risorse esistenti legate al modello di business attuale, mette in discussione radicalmente la necessità di un cambiamento per garantire la sopravvivenza a lungo termine, che è il vero come fine ultimo del profitto. In questa prospettiva nascono importanti domande, un tempo marginali: come devo organizzarmi per adottare questa tecnologia? Come formare le mie persone? Di quali profili avrò bisogno nel futuro? Anche se l'uso etico dell'intelligenza artificiale non è ancora percepito come urgente, l'importanza dell'impatto delle scelte aziendali sulle persone è ormai considerata ineludibile.
Per comprendere le implicazioni positive e negative dell'intelligenza artificiale (AI), è essenziale analizzare le sue caratteristiche principali. Un'interpretazione riconosciuta la descrive come la capacità di un sistema informatico di emulare funzioni umane come il ragionamento, l'apprendimento, la pianificazione e la creatività, secondo la norma ISO/IEC 42001:2023 sul sistema di gestione dell'intelligenza artificiale (AIMS).L'AI si basa su tre pilastri, paragonabili a un impianto di produzione: i dati digitalizzati fungono da materie prime; la potenza di calcolo, simile a un impianto produttivo, viene espressa attraverso GPU; gli algoritmi operano come istruzioni per trasformare i dati (materia prima) in informazioni o azioni/decisioni (prodotto finito).
Un cambiamento significativo, spesso non esplicitato, è che intorno ai primi anni 2000 la dimensione algoritmica ha vissuto, grazie all’enorme quantità di dati disponibili (internet) e a capacità di calcolo sempre più potenti e accessibili, la transizione da un approccio deterministico tipico della tradizionale AI, in cui le regole e le decisioni sono impostate dall'uomo, a un approccio statistico basato sul machine learning, che permette di identificare modelli direttamente dai dati, apprendendo e adattandosi autonomamente alle variazioni. A differenza dell'AI tradizionale che segue regole statiche, il machine learning migliora e adatta le sue capacità nel tempo attraverso l'apprendimento automatico dai dati. Questa evoluzione rompe con il passato e rende evidente la somiglianza tra il comportamento delle macchine e il processo umano di elaborazione delle informazioni, basato sull'esperienza continua e l'adattamento all'ambiente.
Indicazioni per un uso
(sempre più) consapevole dell'AI<
Ci racconti un esempio di una “pratica intelligente” dell’AI?
Questa discontinuità rispetto al passato è emersa in modo
dirompente anche agli occhi del grande pubblico grazie alle
nuove applicazione di AI Generativa, rendendo il comportamento della macchina sempre più simile al processo di elaborazione dell’informazione umano. Analogamente a come la nostra mente elabora informazioni attraverso un flusso continuo di esperienze, partendo dai sensi per costruire e adattare visioni del mondo in relazione all'ambiente circostante, l'AI utilizza i data set come fondamento e fonte di apprendimento per sviluppare i propri modelli di interpretazione e interazione con il mondo. Sia gli esseri umani sia l'AI sono capaci di processare esperienze in modo continuo e di adattarsi ad esse, risultando in un comportamento che non è completamente prevedibile né facilmente ripetibile. Il punto di non ritorno nel rapporto tra l'uomo e la tecnologia deriva dal fatto che in precedenza, il nostro senso di controllo derivava dalla consapevolezza che eravamo noi a dettare le regole di comportamento delle tecnologie. Con l'avvento dell'intelligenza artificiale, ci troviamo di fronte a una tecnologia progettata per operare a un livello di astrazione e controllo superiore, dotata della libertà di apprendere autonomamente e adattarsi al contesto. A partire da questa prospettiva è decisivo riadeguare i nostri concetti antropologici ed etici, che ancora partono dal presupposto che l’uomo possa controllare i comportamenti della “macchina” direttamente dando semplici regole, come si faceva con l’AI tradizionale. Non è così. Per realizzare un comportamento etico in un’applicazione di AI di oggi, a prescindere dalla questione fondante di cosa è etico e cosa no, occorre lavorare ad un livello di controllo complesso e non sempre di semplice realizzazione. E questo richiede da parte dell’uomo un approccio e delle capabilities e competenze più sistemiche e non solo tecniche. Mai come in questo momento storico è fondamentale l’apporto che le scienze umane posso dare non solo alla lettura di quella parte essenziale della realtà che l’AI strutturalmente non è in grado di assimilare nei propri sistemi (il contesto), ma soprattutto per mediare e rendere a portata dell’uomo l’adozione di questa nuova tecnologia che proprio perché ha similarità di comportamento umano necessità di creazione di senso e non solo di metodologie e processi.
In ultima analisi, l’apporto delle scienze umane è decisivo per valutare il potenziale positivo e negativo dell'AI, perché va sempre oltre alla discussione tecnologica per entrare nel regno degli scopi. Ogni valutazione etica necessita l’esame attento degli scopi per cui un'applicazione è stata creata e considerare anche i possibili effetti collaterali secondo una logica di impatto potenziale. Ad esempio, un'applicazione nel campo dell'educazione, mirata a fornire istruzione gratuita e di alta qualità a chiunque, ovunque (come illustrato dall'esempio della Khan Academy), utilizza la stessa tecnologia per digitalizzare e semplificare il processo di apprendimento. Questo può comportare una semplificazione eccessiva per gli studenti in contesti occidentali, potenzialmente riducendo i costi legati al personale docente e compromettendo l'esperienza diretta dell'insegnamento, soprattutto se utilizzata da scuole private con fini di lucro. Questo esempio sottolinea come l'uso della nuova generazione di AI richieda un'analisi approfondita che va oltre le questioni etiche, per includere considerazioni antropologiche fondamentali.
Generatività Sociale: società e generazione di Valore PubblicoRiflessioni del Professor Jacb Torfing
La teoria della generatività (Giaccardi & Magatti, 2014) fornisce un riferimento antropologico, filosofico e comportamentale rispetto alla vita personale in relazione con le persone, l’ambiente, le organizzazioni e il tempo e può applicarsi a diversi livelli e ambiti di analisi. Tale teoria sta ricevendo una crescente attenzione a livello mondiale (ad es. Magatti, 2019) ed è significativo come stia ispirando anche studiosi di fama internazionale che si occupano di governance pubblica, tra cui Chris Ansell, professore a Berkeley, con i suoi studi sulle piattaforme pubbliche (ad es. Ansell & Miura, 2020), e Jacob Torfing che ha recentemente coniato il concetto di “generative governance” (ad es. Torfing et al., 2019).
Jacob Torfing è un professore di politica e istituzioni e ricopre il ruolo di direttore della ricerca presso la Roskilde School of Governance, un centro di ricerca in scienze politiche e amministrazione pubblica situato presso il dipartimento di scienze sociali e business all’Università di Roskilde in Danimarca. Il Professor Torfing è tra le tre persone più citate al mondo sul tema della governance pubblica ed i suoi interessi di ricerca comprendono le riforme del settore pubblico, la governance delle reti, l'innovazione collaborativa, la leadership politica interattiva e la gestione dell'innovazione. Partecipa attivamente a diversi progetti di ricerca che si concentrano sulla co-creazione di soluzioni innovative per problemi sociali complessi e sull'analisi dell'influenza della leadership e del design istituzionale sulla collaborazione (Roskilde University, n.d.).
di Alessandro Sancino
sociologo ed economista, è professore ordinario di SocUniversità degli studi di Milano-Bicocca
INTERNAZIONALE
Recentemente ha definito la governance generativa come “la capacità del settore pubblico di promuovere e supportare interazioni tra attori distribuiti coinvolti in processi emergenti di collaborazione, apprendimento e innovazione, dove il concetto di governance generativa ci permette di ripensare il settore pubblico come un'organizzazione di piattaforme che, invece di cercare di risolvere problemi complessi e turbolenti utilizzando solo le proprie risorse, crea arene collaborative coinvolgendo attori pubblici e privati nella co-creazione” (Torfing, 2024). La baseline concettuale si basa sulla teoria della "politica deliberativa" (ad es. Fung, 2006), la quale valuta gli input provenienti dall'ambiente e li integra attraverso un approccio "interattivo" che coinvolge attori pubblici, cittadini e/o stakeholders privati con vari gradi di relazione e tramite diversi possibili processi partecipativi.
Questo approccio apre spazi per nuovi ruoli manageriali in tutte le organizzazioni orientate al valore sociale, pubblico e condiviso che sono interessate a condurre processi complessi e trasversali di co-creazione, attraverso quello che definiamo "coordinamento relazionale” volto ad abbattere i silos di conoscenza e a generare congiuntamente valore per affrontare insieme problemi e/o opportunità sociali.
Sembra paradossale accostare la teoria della generatività alle organizzazioni pubbliche che vengono sovente sovrapposte alla modalità organizzativa di tipo burocratico, che certamente ne rappresenta larga parte, sebbene occorra riconoscere che la burocrazia sia un modello organizzativo presente in molte organizzazioni e non solo pubbliche, come banche e grandi imprese. Tuttavia, se la generatività economica (non sociale) viene sfruttata oggi giorno da molte grandi imprese che usano un modello di business a piattaforma, è dunque lecito ed anche doveroso, in una logica di valore condiviso e pubblico, chiedersi come anche le organizzazioni pubbliche possano utilizzare la teoria e logiche della generatività in chiave di governance pubblica (ad es. Minervini, 2016), potenzialmente ideando, abilitando e gestendo piattaforme pubbliche. Le teorie esistenti della governance pubblica riconoscono infatti l'importanza della risoluzione collaborativa dei problemi, ma non comprendono a pieno il ruolo che il settore pubblico può svolgere nel promuoverla (Torfing et al., 2019).
Il concetto di governance generativa può quindi ispirare ricerche e pratiche che individuino i suoi meccanismi, l'impatto sulla società, le conseguenze amministrative e le implicazioni normative, economiche, politiche e sociali. Il management pubblico in Italia si trova in una fase cruciale. Dopo l'istituzionalizzazione delle riforme orientate verso un modello aziendale condotte negli anni '90, l’attuale contesto sociale, culturale, economico e politico richiede un'ulteriore evoluzione per evitare il rischio di burocratismo manageriale nelle amministrazioni pubbliche, un rischio le cui esternalità negative ricadono anche su altre organizzazioni e sul sistema Paese più in generale. Invece, la governance pubblica generativa, ad esempio informando e guidando una nuova relazione tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni dell'economia sociale, si presenta come una soluzione nuova e un promettente cambio di paradigma nelle relazioni tra attori economici per la generazione di valore condiviso e pubblico (Magatti, 2017; Sancino, 2022).
In conclusione, coniugando il pensiero del Professor Magatti e del Professor Torfing, si puo’ affermare che la generatività sociale è la teoria che ispira la pratica della co-creazione come soluzione amministrativa messa in campo dalle amministrazioni pubbliche, specialmente quelle locali (IFEL/ANCI, 2022), per rispondere a problemi e sfide sociali, generando valore condiviso e pubblico attraverso l’identificazione di opportunità per azioni generative da parte di attori diversi che convergono su obiettivi di interesse condiviso e pubblico (Sancino et al, 2023).
Per approfondire queste idee si possono consultare i video successivi in cui il Professor Torfing illustra la co-creazione come strategia di governance pubblica.
Così, spaziando dall’ambito del fashion alla robotica, Upskill 4.0 opera attraverso le sue diverse sedi, la logica è far sì che questi slanci tecnologici siano dei mezzi integrativi, atti dunque a facilitare e migliorare la performance, supporti che si pongano al servizio dell’individuo e non semplici tecniche sostitutive del capitale umano e delle competenze cosiddette “tradizionali”. Le criticità della contemporaneità, su tutte le questioni legate alla sostenibilità e alla qualità di vita, non possono infatti ricevere risposta dalla sola tecnoeconomia e, anche si rende necessario un rinnovamento operativo, è forse ancor più importante che a capo di ogni progetto vi sia uno slancio culturale, una propulsione basata sull’interazione generativa e su uno sguardo diverso al “fare impresa” in grado di promuovere, e questo è un altro caposaldo di Upskill, l’incontro tra diverse generazioni. In questo senso il modus operandi di Upskill trova fondamento nella stessa esistenza vivente, dividendosi in cinque fasi distinte. Vi è innanzitutto, riprendendo di nuovo Selena Brocca, un’ iniziale momento interlocutorio basato sull’ empatia, caratterizzato cioè dall’ascolto delle necessità delle singole realtà. Questo periodo di rilevazione di informazioni, ambizioni e stati d’animo dei vari soggetti è cruciale per raccogliere i bisogni espressi e inespressi dell’utente. Vi è poi un periodo di definizione del progetto, seguito dalla fase di ideazione e dalla conseguente prototipazione del modello, ultimata da test e valutazioni conclusive.
Un’altra caratteristica dell’operato di Upskill è senza dubbio il presupposto dell'intersoggettività, ovverosia il coinvolgimento di un ampio spettro di individui, soggetti e realtà in un continuo scambio di skills, nel quadro di una mobilitazione collettiva. Non è raro che le azioni di consulenza alle imprese si limitino al caso singolo, a un progetto a termine che, per sua stessa natura, non contribuisce alla creazione di un iter generativo, un circolo virtuoso che riesca a protrarsi nel tempo invece di esaurirsi al termine della singola proposta. L’agire di Upskill assume la qualità della metastabilità, requisito tipico della generatività sociale, i rapporti costruiti attraverso i vari interventi a sostegno delle imprese non sono rigidamente stabili o istituzionalizzati, lo scopo è infatti fornire le competenze richieste e lasciare che le diverse realtà riescano a svilupparle in maniera indipendente. Tuttavia vi è un’interazione dinamica, in grado di cambiare forma in medias res, di trovare nuove identità e metodi operativi in corso d’opera, favorendo una continua evoluzione attraverso una presenza alternata, un percorso di creazione congiunta, frutto di una visione condivisa, una sorta di “acceleratore per imprese”, citando nuovamente Brocca.
UPSKILL 4.0:
Generatività e design thinking a sostegno delle imprese
VIE
Generare benessere e crescita del territorio attraverso la formazione e la diffusione di competenze innovative, ponendo un forte accento sull'intersoggettività: questi gli obiettivi di Upskill 4.0, società Benefit e spin-off dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, realtà che nasce nel 2019 col preciso scopo di fornire ad aziende, associazioni di impresa ed enti locali una nuova metodologia operativa. L’operato di Upskill nasce dal progetto ITS 4.0, programma finalizzato all’avvicinamento delle scuole professionali al mondo del lavoro attraverso l’impiego delle più moderne tecnologie, dalla sensoristica avanzata alla realtà virtuale aumentata, e formando gli studenti alla progettazione e all’utilizzo pratico di strumenti all’avanguardia.
Non si può pensare che le nuove generazioni si rifacciano a schemi tecnici e produttivi superati e, sebbene il rapporto con la tradizione sia importante, è fondamentale instaurare una relazione che tende al futuro. Concretamente Upskill 4.0 propone un percorso articolato in sette passaggi ben distinti, linee guida che, è bene specificarlo, non sono statiche, ma mirano ad essere adattabili alla singola realtà. In primo luogo vi è la fase di scouting, regolata dalla già citata “empatia”, elemento fondativo della generazione congiunta. Seguono la definizione delle sfide progettuali (problem framing) e la creazione dei team di lavoro, l’effettivo sviluppo del piano operativo è il passo successivo. Il coordinamento del team di Upskill è una presenza costante, fino all’approdo al risultato finale, momento che porta alla presentazione del progetto ultimato e, infine, a un periodo in cui si verifica l’effettivo impatto dell’intervento attraverso incontri di follow-up e interviste per la continuazione dei progetti.
Abbiamo chiesto al team di Upskill 4.0 di raccontarci un’esperienza emblematica, in grado di riassumere le potenzialità del design thinking applicato all’impresa. In un progetto che ha unito avanguardia e artigianalità, Upskill 4.0 ha collaborato con Officina Dario Pegoretti, storica realtà veronese celebre in Italia ed estremamente popolare anche all’estero, grazie alla produzione artigianale di telai di biciclette su misura realizzati a mano. In stretta connessione con la fondazione ITS Maker di Verona, gli studenti dell'istituto hanno affiancato i tecnici più esperti, realizzando un casco “intelligente” che supportasse l’artigiano durante il processo di saldatura. Il casco è progettato per assistere l’operatore indicando l’intensità di corrente da applicare durante le varie fasi di lavoro, è effettivamente uno strumento che può rendere replicabile la manualità di un artigiano, frutto di anni di esperienza.
La maschera per saldatura, chiamata Traditional Welding Pegoretti, è stata ideata e realizzata proprio dagli studenti dell’ITS Maker, con la supervisione del team Upskill e della project manager Sofia Ressia. Lo strumento è dotato di sensori ottici e termici in grado di offrire una visuale “smart” al saldatore, mostrandogli precisamente dove e come effettuare la saldatura sul telaio tramite segni grafici e cromatici che appaiono direttamente sul display della maschera. Insomma, il casco riproduce una sorta di realtà immersiva, dimostrando che i possibili impieghi di questa nuova frontiera tecnologica non sono meramente ludici o legati all’intrattenimento, ma pratici e applicabili a precise tecniche produttive. Questo tipo di supporti, le cui applicazioni potenziali spaziano dal mondo del gaming all’ ambito industriale e perfino al campo medico, hanno inoltre il pregio di superare gli ovvi limiti della trasmissione generazionale del sapere. Se le nozioni di un artigiano sono solitamente circoscritte alla cerchia degli apprendisti di bottega, l’introduzione di nuove tecnologie potrebbe invece favorire una diffusione più ampia e immediata di certe pratiche manuali, generando nuove opportunità per i lavoratori e agevolando le realtà imprenditoriali.
UPSKILL 4.0Generatività e design thining a sostegno delle imprese
di Giacomo Checchin
Educatore abilitato, redattore giornalistico in ambito "education" e formazione, ricercatore
La digitalizzazione e l’ammodernamento dei sistemi operativi, ormai lo si può dire aldilà di ogni retorica, non rappresenta più una “nuova frontiera” del panorama produttivo e lavorativo, ma è una concreta espressione delle necessità del presente, una sfida che porta con sé un bisogno di formazione sempre crescente. Questa presenza nell’ambito education ha poi portato, come raccontato dalla Direttrice generale Selena Brocca, ad estendere la proposta anche alle imprese, ad oggi ha sedi in tutto lo Stivale e punta ad estendere i propri servizi anche all’estero, seguendo l’approccio del design thinking, fondamento ideologico e punto di partenza di ogni iniziativa di Upskill.Il design thinking è una metodologia gestionale innovativa nata nei primi anni duemila e inizialmente impiegata da agenzie e studi di design, col tempo la sua diffusione è diventata capillare e sta permeando i settori più disparati, dall’industria produttiva alle grande aziende tech, passando per la moda e l’artigianato. Il fulcro di questo approccio è la valorizzazione dell’individualità, delle abilità del singolo e dei vari skillset presenti all’interno delle imprese, ponendo le competenze umane al centro dell’azione.
Un altro elemento distintivo è la promozione di nuovi spazi creativi, nuove tecniche e competenze che non si limitino a ottimizzare le risorse già esistenti, ma che favoriscano la nascita di soluzioni inedite. Il design thinking è infatti un metodo intrinsecamente generativo, poiché non riguardante soltanto la nascita di nuove realtà, ma in quanto strumento di implementazione sociale, una forma di attivazione verso modelli di sviluppo più sostenibili, responsabili e interdipendenti.
L’intervento ha dunque confermato l’utilità di avvicinare tradizione e novità, creando un ponte tra know-how artigianale e tecnologie all’avanguardia e affiancando diverse generazioni. L’intelligenza artificiale e le esperienze di virtual reality sono al centro di un acceso dibattito, accademico e non, che spesso associa il loro impiego su scala a una de-umanizzazione del lavoro o perfino all’astrazione dalla realtà. Percorsi formativi come questo dimostrano che chi decide di investire sull’intelligenza artificiale come supporto a quella vivente si riunisce in un’organizzazione che opera nel quadro della generatività, rendere “ripetibile” la conoscenza teorica e pratica non sostituisce di fatto le abilità umane, anzi le arricchisce, generando valore sociale e alimentando il dialogo tra generazioni.
A differenza del solo “produrre”, generare significa originare valore consentendo all’alterità di realizzarsi e liberarsi, in un percorso di reciprocità e dinamismo che sembra così ben riassunto da realtà come Upskill 4.0.
APRI R.I.G.
Generazione Lavoro
come promuovere lo sviluppo locale attraverso i giovani
GENERAZIONI
Questo processo genera un duplice impatto: da un lato, crea nuovi posti di lavoro e colma il divario tra domanda e offerta di lavoro; dall'altro, offre ai giovani siciliani la possibilità di rimanere, lavorare e costruire una vita nella propria terra di origine ma attirando aziende da fuori regione.
A rendere possibile questa sperimentazione a Trapani è stata una alleanza vasta tra una molteplicità di soggetti privati dove il ruolo di pivot è stato esercitato dalla Fondazione Comunitaria di Agrigento Trapani. Un’alleanza che ha visto da un lato una comunità di reti corti locali e dall’altro reti lunghe extralocali. Il lavoro giovanile rappresenta infatti una delle questioni più urgenti da affrontare nel sud Italia poiché la cifra drammatica che fa capo alla disoccupazione ed al fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training) interpella tutti in maniera forte e diretta. Gli interventi di accompagnamento e sostegno alle imprese giovanili socialmente responsabili hanno consentito quindi alla Fondazione di Comunità di sviluppare un ruolo strategico nei sistemi territoriali, facilitando progettualità comunitarie di sistema su cui far convergere risorse e competenze locali ed extra locali. E il sostegno destinato alla nascita e allo sviluppo di Beehive ha permesso già di raggiungere due importanti risultati: da una parte è stato avviato un ecosistema privato volto alla promozione dell’impatto socio-economico derivante dal fenomeno del South-Working; dall'altra è stato messa in campo una formula di accompagnamento all'impresa sociale, ai giovani del territorio e alla comunità trapanese.
Ma ciò che stupisce, in considerazione della complessità del territorio e delle analisi socio economiche che evidenziano un continuo depauperamento del Meridione (sia in termini di capitale sociale che economico) è che questa sperimentazione si collochi nella dimensione dell'intersogettività della generatività sociale, ovvero la capacità di mobilitare, coinvolgere e capacitare altri a prendere parte e proseguire l'iniziativa generativa.
Infatti, Beehive, da organizzazione desiderata, messa al mondo, e curata è diventata a sua volta organizzazione che attraverso la formazione e l’accompagnamento all’imprenditorialità giovanile e locale – in particolare mantenendo il focus sulla consulenza nei settori del digitale e del tecnologico – si sta prendendo cura di un territorio aiutando altri giovani imprenditori e mettere al mondo altri progetti d’impresa e storiche imprese locali ad innovarsi.
Introduzione
al centro del Rapporto Italia Generativa 2023
In effetti, un simile approccio, ispirato da quella che si definisce come “generatività”, credo sia realmente in grado di definire nuove possibilità in vista di uno sviluppo adeguato del microcosmo che abitiamo. Innanzitutto, va osservato che il Rapporto di quest’anno pone in evidenza come l'Italia si confermi un Paese ricco e plurale, riconosciuto nel mondo per la sua natura di “patria” della creatività e luogo privilegiato della genialità; però, la nostra nazione rimane accompagnata da un accentuato sentimento di sfiducia, con ricadute preoccupanti in termini di rinuncia che si ampliano tra le generazioni, agente provocatore tra i più influenti nella spinta all'emigrazione di molti giovani.
Un Paese, quindi, vitale, ma dove i talenti che ha a disposizione restano penalizzati e soffocati da un contesto caotico.
Ebbene, per provare a sbloccare questa situazione, delicata e insieme minacciosa, secondo il Rapporto si rende necessario l’avvio di una profonda rigenerazione delle condizioni di fondo adatte a favorire lo scatto in avanti richiesto. In questo quadro, a mio avviso, la sostenibilità può inserirsi come leva cruciale e risorsa tra le più utili e adeguate nel cercare di ripensare lo sviluppo complessivo. E ciò con un altro aspetto che concorre a fortificare questa dinamica, e consiste nella facoltà di riconoscere la relazione come fondamento di ogni pensiero sull'economia e sulla società.
L'Italia, ma potrei dire allo stesso modo della città in cui vivo e di cui sono Sindaco, ha sempre potuto contare sulla ricchezza diffusa all’interno della società civile, nella cittadinanza, tra i suoi abitanti, ma oggi il senso della partecipazione, svolto per lo più attraverso l'associazionismo e il volontariato, sembra soffrire, alle prese con un calo motivazionale dai tratti spesso oscuri, tanto che gli atteggiamenti propositivi individuabili nelle nuove generazioni rischiano di disperdersi nella staticità caotica della società italiana. A mio parere, le istituzioni sono chiamate, allora, a sviluppare un contesto che sia favorevole a rinnovare l’attenzione verso le realtà più attrezzate ed esperte – ma non solo - per costruire una società democratica migliore. Si può pensare, infatti, che la “rigenerazione” della partecipazione e, insieme, la ricostruzione di una identità sospinta verso l’idea di una comunità più coesa, forte e produttiva siano possibili attraverso un disegno da realizzare, soprattutto, attorno alla sostenibilità.
Come Sindaco, vedo ogni giorno la presenza di realtà magari poco riconosciute che continuano a innovare, produrre e condividere: questa è l'Italia generativa, nata, e ancora oggi nutrita, dall’incontro privilegiato tra imprenditori e artigiani, tra esponenti del volontariato e dell’associazionismo e gli amministratori pubblici, dalla condivisa aspirazione a costruire e far vivere ambienti in cui sperimentare pratiche innovative, a coagulare nuovi significati e altrettanto nuovi valori; sono molteplici, osservando le città, i momenti in cui ci si accorge dell’esistenza di esperienze capaci di tenere aperto il futuro, a volte in grado di modificare le regole del gioco, di tratteggiare immaginari per nuove azioni da dedicare alla possibile generazione di un valore multiforme che sia a vantaggio di molti.
Si tratta, dunque, di trovare un modello di sviluppo che detenga caratteri, persino antropologici, desunti da una nuova possibilità di esistere e di dare forma e senso alla vita personale e sociale. Ed è qui che i giovani trovano l’opportunità di ergersi come protagonisti.
“Via dalla gabbia (semi) dorata” è il titolo del secondo Rapporto Italia Generativa lanciato a marzo di quest’anno presso Palazzo Wedekind, prestigiosa sede dell’INPS, a Roma.
Realizzato dal Centro di Ricerca ARC dell’Università Cattolica di Milano con il contributo di Fondazione Unipolis e di IFEL-ANCI, lo studio si è proposto di ricostruire i diversi sistemi di opportunità dei giovani italiani nel loro passaggio all’adultità, in un interessante confronto con lo scenario europeo.
Eppure, in Italia si continua a vivere mediamente bene grazie alle opportunità accumulate nel passato. Si pensi che a settembre 2023 la ricchezza finanziaria delle famiglie ha raggiunto secondo la FABI un saldo complessivo di oltre 5.200 miliardi, mentre la quota di risparmio detenuta sotto forma di depositi e conti correnti si è attestata ad oltre 1.500 miliardi.
Un’immagine efficace di questa contraddizione ce l’ha offerta Luca Ricolfi che definisce l’Italia una “società signorile di massa”, un contesto in cui il numero di chi non lavora è più elevato di chi lo fa; dove l’accesso ai consumi è mediamente alto e la produttività è sostanzialmente ferma da anni. Quasi un ossimoro.
Andrea Furegato, Sindaco di Lodi (Partito Democratico) dal 2022. 26 anni, nato a Lodi, laureato in Economia, Finanza e MercatiI Internazionale, impiegato settore bancario.
Di fronte all’Italia che non cresce, a giovani diventati pochi e molto sfiduciati, lontani dalla politica, esposti alle fragilità dell’epoca storica che vivono, il Rapporto Italia Generativa del 2023 è uno degli spunti più preziosi per procedere nel cammino di preparazione a una possibile alternativa, costruita sulla partecipazione, con uno sguardo speciale alle giovani generazioni.
Di fronte all’Italia che non cresce, a giovani diventati pochi e molto sfiduciati, lontani dalla politica, esposti alle fragilità dell’epoca storica che vivono, il Rapporto Italia Generativa del 2023 è uno degli spunti più preziosi per procedere nel cammino di preparazione a una possibile alternativa, costruita sulla partecipazione, con uno sguardo speciale alle giovani generazioni.
di Patrizia Cappelletti
Sono ricercatrice sociale presso il Centro di Ricerca ARC dell’Università Cattolica di Milano, dove da anni mi occupo di generatività sociale nelle organizzazioni. Svolgo attività di formazione e consulenza per soggetti pubblici e privati.
Ispirato al lavoro compiuto in questi anni attorno al paradigma della generatività sociale, il Rapporto si è proposto di rilevare, in un approccio intergenerazionale, multidimensionale e concreto, i dinamismi economici e sociali del nostro Paese, ma anche di illuminare i punti di blocco che impediscono a questo potenziale vitale - generativo, appunto - di mettersi al lavoro e ricreare continuamente, adattandole al tempo e ai contesti, le condizioni per un autentico sviluppo umano, sociale, economico e culturale, con un’attenzione privilegiata per le nuove generazioni.
L’analisi si struttura attorno a cinque fondamentali transizioni all’età adulta a cui corrispondono altrettanti capitoli: l’educazione e la formazione, l’ingresso nel mondo del lavoro, l’accesso alla casa, la salute e il benessere, la partecipazione alla vita sociale e politica. Per ciascun campo di indagine, il Rapporto propone una rielaborazione di dati primari già esistenti raccontati da grafici interattivi, e, quindi, una selezione di iniziative di policy avviate da altri Paesi europei attorno alle problematiche indagate.La scelta dell’online rende il rapporto facilmente accessibile e navigabile al sito www.italiagenerativa.it
Cosa ci dice il Rapporto?Il quadro complessivo restituisce un trasversale ritardo del nostro Paese. Sono molteplici le condizioni di penalità che i giovani italiani si trovano ad affrontare nel percorso all’autonomia rispetto a molti dei loro coetanei europei, praticamente in quasi tutte le transizioni analizzate. Accanto ad una certa predisposizione per l’intrapresa – che resta però congelata da condizioni di contesto sfavorevoli - le uniche note positive riguardano una minore esposizione dei giovani italiani al disagio sociale, una resilienza che può essere ricollegata alla persistente vitalità dei nostri contesti socioeconomici ancora diffusamente integrati.
Generalmente, troviamo l’Italia nelle posizioni più basse della maggior parte dei ranking indagati: dal numero di Early Leavers ai Neet, dal tasso di inclusione delle giovani donne nel mondo del lavoro all’età di uscita dalla famiglia di origine, dall’accesso a percorsi di istruzione terziari alla fiducia nelle istituzioni. La situazione è per molti aspetti già ben indagata e conosciuta, eppure l’affiancamento di così tanti dati nel quadro di una lettura sistematica e orientata come quella offerta dal Rapporto IG fa certamente un certo effetto.
perché come spiega il Rapporto, “i giovani non considerano la politica un soggetto in grado di lavorare per creare quelle condizioni di contesto necessarie perché un giovane o una giovane possa guardare al futuro con serenità e ottimismo”. Dunque, non si tratta necessariamente di una forma di disaffezione verso la democrazia, ma come ribadisce il Rapporto, di “un senso di scoramento rispetto alla capacità della politica di avere un ruolo positivo nell’organizzare la società”. E questa distanza dipende certamente anche dal rilevare la presenza di una generale classe dirigente spesso anziana e il più delle volte di genere maschile.
Le Amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle politiche giovanili, sono invitate ad avviare confronti diretti con le diverse espressioni del mondo giovanile presenti nelle città, su temi differenti, a partire dagli spazi e dai luoghi da dedicare alle attività e alle iniziative che possano permettere proprio ai giovani di rendersi protagonisti attivi nella vita sociale delle città. Ma per essere in grado di avviare un processo vero, in grado di apportare dei cambiamenti rispetto a un fenomeno dai contorni sociali spesso inafferrabili e origini non sempre comuni, serve prendere distanza dall’abitudine di analizzare il singolo episodio e imparare, invece, a valutare con attenzione la cornice in cui agiscono i giovani, il contesto in cui si muovono.
Ambiente, economia, uguaglianza di genere, con i dati peggiori del Rapporto proprio relativi alle giovani donne, criminalità e razzismo “di sistema” sono, come si rileva un po’ ovunque, le priorità su cui lavorare. Poi, ci sono le speranze: nei prossimi dieci anni - confermano molte ricerche recenti - i ragazzi confidano in cambiamenti positivi per quanto riguarda l’ambiente, l’uguaglianza di genere e la sfera economica (60%), ma anche la salute mentale sarà una questione critica in futuro, anche se non sarà più oggetto di tabù. E proprio i giovani italiani sperano ci siano dei cambiamenti sul fronte dell’ambiente, delle opportunità lavorative e della criminalità, sul piano dei diritti, sul riconoscimento delle diversità, delle nuove povertà.
Le speranze, però, rischiano di infrangersi sul gap esistente tra realtà e aspettative, anche se dalle fotografie che si compongono in base alle ultime indicazioni delle ricerche applicate, i giovani sono tutt’altro che “indifferenti”. Ad esempio, in Italia, nove su dieci fanno la raccolta differenziata, chiudono la luce quando escono di casa, cercano di riciclare e di sprecare meno acqua possibile. Una percentuale variabile tra il 40% (al Nord) e il 60% (al Sud) cerca, poi, di acquistare cibo biologico. E se l’auto privata domina gli spostamenti dei 19-29enni (con il 36,8%), i più giovani segnalano, invece, soprattutto altre forme di mobilità alternativa (“a piedi” si muove il 23,7% dei quattordici-diciottenni, con l’autobus il 15,1%, ma solo il 3% in treno).
I ragazzi e i giovani adulti italiani sembrano, insomma, attenti agli stili di vita consapevoli e il primo passo per rispondere alla sfida ambientale è rilevare, dare ascolto, vedere e capire in profondità le loro conoscenze, le opinioni, ma anche gli atteggiamenti e le pratiche quotidiane di adolescenti e giovani, veri apripista e portavoce sociali. Solo così si potranno, poi, fornire interpretazioni, valutazioni e attivare percorsi e pratiche trasformative comuni, realmente generative, dove far emergere, studiare e valorizzare il contributo dei giovani a tutta la società.
Con l’auspicio che non si riduca “solo” a pur importanti scelte individuali, ma che siano da protagonisti della vita di comunità, in tutte le sue accezioni.
Lo scenario italiano non è privo di paradossalità.
xaDa un lato, il nostro Paese ha solo parzialmente goduto delle opportunità offerte dalla globalizzazione. Non è cresciuto allo stesso ritmo di altri Paesi europei. Non si è modernizzato (basti pensare al tasso di produttività). Non ha prodotto grandi visioni per il suo futuro in termini di sviluppo. Permangono profonde disparità territoriali e un pesantissimo debito pubblico, mentre crescono le inquietudini per gli impatti economici e sociali dell’inversione della piramide demografica alimentata da un rigidissimo inverno demografico.
Rapporto Italia Generativa:
la condizione giovanile in Italia
Eppure, in Italia si continua a vivere mediamente bene grazie alle opportunità accumulate nel passato. Si pensi che a settembre 2023 la ricchezza finanziaria delle famiglie ha raggiunto secondo la FABI un saldo complessivo di oltre 5.200 miliardi, mentre la quota di risparmio detenuta sotto forma di depositi e conti correnti si è attestata ad oltre 1.500 miliardi.
Nel lavoro di questi anni fatto da Beehive a Trapani vi è una evidente correlazione tra la generazione di opportunità lavorative e lo sviluppo locale di un territorio, con particolare attenzione all'attrattivà e alla “restanza” dei giovani talenti grazie al south working. In questo caso una situazione organizzativa del lavoro imposta dall’emergenza sanitaria legata al Covid che ha reso possibile per molti giovani la possibilità di lavorare da remoto in località del Sud Italia, è diventata una leva per attrarre e trattenere questi giovani talenti dell’ambito digitale e tecnologico, far arrivare a Trapani nuove aziende extralocali che hanno generato nuove opportunità di lavoro, favorire la circolazione di conoscenze e la contaminazione di esperienze anche tra diverse generazioni che sta contaminando anche le imprese locali. Il successo dell’esperienza di Beehive lega molto del suo impatto sociale sulla capacità di coinvolgere e attivare una rete di attori locali. La sinergia con la Fondazione Comunitaria di Agrigento e Trapani e l'accoglienza negli spazi messi a disposizione dalla Diocesi di Trapani sono state fondamentali per la realizzazione del progetto. Il coworking diventa quindi un luogo di incontro e di scambio, non solo per i professionisti che vi lavorano, ma anche per l'intera comunità. Si concretizza quindi la dimensione relazionale della generatività sociale, ovvero la capacità di mobilitare, coinvolgere e capacitare altri a prendere parte e proseguire l’iniziativa generativa. Il caso di Beehive dimostra come la generazione di opportunità lavorative sia strettamente correlata allo sviluppo locale di un territorio. L'impresa sociale, attraverso il south working e l'interazione tra generazioni e organizzazioni diverse, ha attivato un processo di generatività sociale che ha portato benefici economici, sociali e culturali alla comunità di Trapani. Il modello di Beehive può essere replicato in altri contesti, contribuendo a ridurre il divario tra le generazioni e a creare nuove opportunità per i più giovani.
MAGGIO 2024
Questo scenario spiega il perché del titolo scelto per il nuovo Rapporto Italia Generativa 2023:l’Italia assomiglia tanto ad una gabbia (semi)dorata dall’effetto soporifero. Il rischio è di restare prigionieri di un quasi benessere e di un quasi futuro di piccolo cabotaggio, anche a causa del basso livello energetico del Paese e della ridotta spinta al cambiamento legati all’invecchiamento della popolazione.
“In questo scenario quali sono, oggi, le strategie di sopravvivenza dei giovani italiani?” prova a chiedersi il Rapporto.
Per molti la scelta, spesso implicita, è quella dell’adagiarsi giorno dopo giorno in una situazione certo un po’ claustrofobica, ma non priva di piccoli piaceri.
Per una fascia crescente di giovani, invece, sempre più convincente appare la strada dell’exit.
I dati ufficiali ci dicono che nell’ultimo anno sono emigrati dal nostro Paese oltre 50.000 cittadini italiani tra i 18 e i 39 anni. Altre ricerche suggeriscono che il fenomeno sia in realtà ben più consistente: si tratterebbe di una emigrazione non dissimile da un punto di vista quantitativo da quella che l’Italia ha vissuto negli anni Cinquanta del Novecento.
La perdita in termini di valore umano, sociale ed economico è impressionante,anche perché molti di coloro che lasciano il Paese sono ragazzi e ragazze formati e fortemente motivati a trovare altrove quelle opportunità che nel nostro Paese non esistono o non sembrano accessibili a tutti.
Il Rapporto Italia Generativa lancia una provocazione: se la situazione del Paese è quella descritta dai tanti dati raccolti, diventa razionale per un giovane decidere di investire la propria vita in Paesi in grado di offrire reali opportunità di riconoscimento e valorizzazione. Forse è anche per questo che nel 2022 sono nati all’estero 91.000 bambini da giovani coppie di italiani residenti all’estero. Quasi un quarto di tutti quelli nati in Italia. Un dato che dovrebbe far pensare.
“Via dalla gabbia (semi) dorata” non è però solo una drammatica constatazione. È un invito a nuove e coraggiose alleanze, affinché l’Italia possa diventare nuovamente un Paese in cui poter nascere, crescere, lavorare, abitare, generare.Senza dimenticare che dalla gabbia (semi) dorata dovrebbero essere aiutati ad uscire anche quei giovani che oggi vi restano bloccati, accettando traiettorie di breve raggio. È importante lavorare perché anche loro possano tornare a desiderare per sé e per una intera generazione la piena realizzazione del proprio potenziale a beneficio dell’intera società.
La Sicilia, con la sua ricca storia e cultura uniche, è un luogo di incredibile bellezza e potenziale. Tuttavia, le ricerche socio-economiche che ogni anno ne esaminano i dati demografici e socio economici, ne evidenziano le criticità: massiccia emigrazione dei giovani, soprattutto laureati, PIL che fatica a crescere al passo del resto d’Italia, investimenti sotto la media nazionale, etc.
Un territorio che si trova quindi spesso ad affrontare ostacoli significativi nel suo percorso verso lo sviluppo economico e sociale sostenibile.Le difficoltà nell'avviare e far crescere organizzazione ed in particolare imprese sociali nel sud, e in particolare in aree periferiche, sono molteplici e complesse, spaziando dalla mancanza di infrastrutture alle sfide burocratiche e culturali, dalla mancanza di capitale umano alle difficoltà nel costruire alleanze e cooperazione.
Tuttavia, da alcune esperienze, come da quella che raccontiamo in questo articolo, emergono segnali di speranza che attraverso la costruzione di processi operativi che si ispirano al paradigma della generatività sociale sono riuscite a creare cambiamento e sviluppo locale, partendo dai giovani.
Si tratta di approcci operativi che promuovono alleanze ibride per il bene comune, che trasferiscono potere ai giovani, favoriscono la partecipazione della comunità, incoraggiano la sostenibilità, e hanno dimostrato di essere efficaci nel superare le barriere che impediscono lo sviluppo economico e sociale nelle aree del sud, contribuendo così a promuovere azioni di sviluppo locale.
Uno degli elementi di maggior valore nell’esperienza che raccontiamo è la capacità di costruire alleanze di reti corti locali e reti lunghe extra locali valorizzando il legittimo interesse di tutti gli stakeholder coinvolti.
La dimensione intersoggettiva della Generatività Sociale
UPSKILL 4.0Generatività e design thinKing a sostegno delle imprese
Se si vuole invertire una rotta che oggi assomiglia tanto a quella del Titanic, è urgente scardinare il blocco generazionale che sta impedendo al Paese perfino di immaginare una nuova fase di sviluppo. Per questo il Rapporto lancia un nuovo Patto generazionale che, superando la frammentarietà settoriale delle policy, le trappole del breve termine in cui appare invischiata la classe politica, la resistenza al cambiamento delle generazioni senior, renda concreta la domanda di sostenibilità che viene dal Paese, che è anzitutto sostenibilità intergenerazionale.In questa direzione lo studio prova ad indicare anche alcune piste di azione.
Beehive: un esempio di organizzazione generata e diventata generativa
Uno degli intenti principali del Rapporto Italia Generativa, alla sua seconda edizione dopo l’esordio dello scorso anno, risiede senz’altro nella volontà di “riaprire il futuro delle nuove generazioni”, stimolo richiamato anche nella titolazione di questo prezioso documento che riassume la generale ispirazione dell’iniziativa, ovvero contribuire all’individuazione di aree di blocco nel percorso di abilitazione di persone e gruppi come premessa alla generazione di un valore multiforme da mettere a disposizione della società.
I GIOVANI
I GIOVANI al centro Rapporto Italia Generativa
Spazio di lavoro condiviso, palestra relazionale, incubatore di comunità. Nel cuore del centro storico di Trapani a pochi passi dal mare, nel 2021 nasce Beehive uno luogo per attrarre aziende e lavoratori da remoto, trapanesi e non, sparsi per l’Italia.
Ma Beehive è prima di tutto una cooperativa sociale fondata da tre giovani siciliani.
Sergio Parisi, che insieme con Giuseppe Rizzo e Gianfranco Incandela è tra i fondatori insiste sul valore del presidio di comunità: «ognuno di noi ha esperienze di volontariato alle spalle, non amiamo definirlo spazio di co-working, ma un luogo delle relazioni».
Beehive è molto di più di un semplice coworking. Si tratta di un'impresa sociale che agisce come catalizzatore per lo sviluppo locale: attira aziende nell’ambito dei servizi di consulenza nel settore STEM (science, technology, engineering and mathematics) da tutta Italia, le aiuta ad aprire una sede operativa a Trapani e genera opportunità di lavoro “buono e giusto” per giovani sia con profili junior (neodiplomati e neolaureati) sia senior.
Se la questione giovanile è la priorità del Paese, prenderla sul serio richiede un salto culturale e perfino epistemico.Come la generatività insegna, tutto è in relazione con tutto. E dunque, singole iniziative settoriali non potranno cambiare il dato di realtà, che, in quanto complessa, esige un pensiero e una azione di cura intelligente e sofisticata, capace di comprendere e riattivare le tante dimensioni in gioco e le loro reciproche interazioni.
di Giuseppe la Rocca
direttore della Fondazione Comunitaria di Agrigento e Trapani, esperto di politiche di sviluppo locale e terzo settore, collabora con Genialis.
Riaprire il futuro delle nuove generazioni e di quello del Paese sarà possibile solo grazie a una nuova comprensione e una nuova intenzionalità generativa.
È questo, in fondo, il messaggio ultimo del Rapporto.
Riaprire il futuro delle nuove generazioni significa, allora, rendersi conto dei problemi presenti, tra i quali rientra la disaffezione verso la politica e, meno sovente, la partecipazione alle aggregazioni sociali,
di Andrea Furegato
INTRODUZIONE di Patrizia Cappelletti
APRI R.I.G.
Ersilia Vaudo, portare il gioco della scienza
ai margini delle città - Il Sole 24 ore
ilcieloitinerante.it
C'è un nuovo metodo per non far odiare
la matematica ai bambini - WIRED
Il Cielo Itinerante: intervista a Irene Valenti
Le meraviglie della Scienza e la strada
dell’inclusione- DIVERCITY
Il Cielo Itinerante
ARTICOLI - ERSILIA VAUDO
Proponiamo cose molto semplici. Una delle attività è avere una corda legata alla estremità creare delle figure geometriche. Oppure attraverso la moltiplicazione del 4, trovare altri numeri. È straordinario vedere l’effetto positivo di un approccio diverso alla matematica! Molti ragazzi continuano a ragionarci e ritornano da noi il giorno seguente dicendo: “Ma lo sai che ci ho pensato tutto il giorno! Ho capito che…”
Irene si laurea in Cooperazione Internazionale e Sviluppo all'Università Cattolica di Milano, inizia un'esperienza in Sicilia come Project Manager nei centri di accoglienza SAI e CAS progettando attività per i Paesi Senegal e Gambia. Dopo un periodo in Senegal torna in Italia a Milano e inizia il bellissimo viaggio con Il Cielo Itinerante, per il quale coordina e cura i progetti su tutto il territorio italiano.
Il Cielo Itinerante nasce nel 2021 su iniziativa di Ersilia Vaudo, astrofisica dell’Agenzia spaziale Europa, Alessia Mosca, docente universitaria ed ex-europarlamentare, e Giovanna Dell’Erba, notaio. Durante il Covid, le tre amiche scambiano riflessioni preoccupate davanti ai dati INVALSI che denunciano un ritardo importante (a cui corrisponde anche un altrettanto significativo gender gap) nelle materie STEM da parte degli studenti italiani rispetto ai coetanei europei.
Decidono così di fondare un’associazione, ispirate da una scienziata kenyota, Suzanne Murabane, che visita i villaggi del suo paese con un telescopio per permettere ai bambini di osservare le stelle. Anche noi oggi abbiamo un furgoncino che gira l’Italia per proporre laboratori STEM e osservare la volta celeste. Il nostro motto è “Portare il cielo dove non arriva”.
Le nostre fondatrici si pronunciano molto su questi temi con l’obiettivo di sensibilizzare la sfera istituzionale. Sul tema policy ci stiamo lavorando. In questi tre anni l’associazione è cresciuta tantissimo, anche oltre quanto sperato, e abbiamo ampliato le nostre attività. Ora vorremmo fare un salto in avanti per andare a rispondere a quanti – genitori in primis - ci domandano: “Ma cosa possiamo fare per migliorare le cose?” Sarà questa la nostra direzione di lavoro e di impegno.
Operazione Cielo
Esattamente! La bellezza di guardare le stelle ha ispirato astrofisici ed astronomi a scoprire il nuovo. È quello che speriamo di fare anche noi con le nostre attività: suscitare in questi ragazzi il desiderio di guardare oltre, di immaginare un futuro diverso per loro stessi, o, semplicemente, di lasciarsi ispirare! Il nostro target sono bambini che spesso si trovano in situazioni di disagio socioeconomico o in condizioni di povertà educativa. Sono ragazzi che non riescono a pensare di poter fare qualcosa di straordinario nella loro vita! Il nostro compito è anche quello di dire loro: Tutto è fattibile! Anche voi lo potete fare!
Devo dire che qui sono stati fondamentali i messaggi lanciati ai nostri bambini da Samantha Cristoforetti: tutti possono fare l’astronauta!
SEGNALI di BELLEZZA
Fortunatamente, come associazione no-profit siamo sostenuti economicamente da tante realtà. Tra queste c’è la Fondazione Italia Patria della Bellezza. Questo ci permette di girare il Paese e raggiungere le periferie delle grandi città o le aree interne dell’entroterra appenninico o delle isole. Al momento abbiamo due progetti. Il primo si chiama Italia brilla e consiste in un tour annuale del nostro pulmino in tutta Italia. Siamo ospitati da enti del terzo settore che si occupano di bambini che vivono una qualche situazione di fragilità educativa o socioeconomica. Sono proprio questi i bambini che cerchiamo. Cosa proponiamo nelle nostre tappe? Alle 17 apriamo uno dei nostri laboratori incentrati sulla scienza e sullo spazio: insieme cuciniamo una cometa o costruiamo e lanciamo un razzo con l’acqua, o mettiamo i ragazzi alla prova con gli stessi esercizi che fanno gli astronauti nello spazio! Questo fino alle 20. Poi si cena insieme con una pizza! È sempre un momento molto bello di grande convivialità. I bambini sono tanto emozionati, perché raramente sperimentano momenti come questi. Dalle 21 alle 22 osserviamo la luna, i pianeti, talvolta le galassie lontane… Abbiamo un telescopio che ci permette di vedere lontanissimo. È tutto molto affascinante.
Con il secondo progetto, di cui Fondazione CDP è main partner, e che è stato realizzato grazie al supporto di Fondazione Bulgari, Fondazione Bracco e Iliad, abbiamo portato in Italia il metodo YOUCUBED proposto dalla professoressa Jo Boaler dell’Università di Standford per insegnare la matematica ai bambini in un modo diverso da come viene fatto attualmente nelle nostre scuole. Noi le abbiamo scritto e lei ci ha prima risposto. Poi, con una collega, ci raggiunto in Italia, a Napoli, per insegnare questo metodo a 30 laureandi da noi selezionati. Dopo 4 gg di workshop, i nostri giovani si sono sparsi nelle periferie di Napoli, Milano e Roma, in alcuni tra quartieri più difficili di Italia, come Forcella, San Giovanni a Teduccio, Ponticelli, San Carlo all’Arena, Giambellino e Tor Bella Monaca. I nostri formatori sono andati in questi quartieri appoggiandosi ad alcune associazioni e organizzato dei camp di 4 settimane sulla matematica. Noi avevamo qualche timore… “I ragazzi non vanno volentieri a scuola. In più, non amano la matematica!”, ci dicevamo. Invece, siamo riusciti a coinvolgere i ragazzi d’estate per imparare la matematica! È stata una piccola scintilla di una grande rivoluzione!
Come nasce questa esperienza?
Alla fine di ogni progetto conduciamo alcune analisi di impatto con IPSOS. I dati ci dicono che, mentre prima del nostro intervento i ragazzi pensano che, per avere successo in matematica o nelle scienze, bisogna avere intelligenza ed essere portati, dopo le nostre attività gli stessi ragazzi affermano che ci vuole passione. Ci pare un cambiamento importante! Purtroppo, i ragazzi vedono la matematica come un muro, qualcosa che li fa sentire a disagio, ma hanno scoperto che, con i giusti strumenti, è possibile considerarla una opportunità per credere in loro stessi. Questo è bellissimo! Condivido un ricordo a me caro. All’inizio di un camp abbiamo chiesto ad alcuni bambini: “Cosa è la matematica per te?” Loro ci hanno risposto “Beh, sono numeri… Alcuni sono primi, altri sono pari e dispari…” Tutto qui. Alla fine dell’esperienza, un bambino è venuto da noi e ci ha detto “La matematica può essere uno strumento per cambiare il mondo!”
Ciò che proponete ai bambini è di alzare lo sguardo ed aprirsi alla meraviglia di un infinito ancora tutto da scoprire, per suscitare in loro il desiderio di essere parte di questa appassionante esplorazione!
Come si svolgono i vostri incontri?
Cosa avete visto succedere?
Ci fai un esempio delle attività che proponete?
Una azione importante, la vostra, considerato che i dati relativi al nostro Paese sono preoccupanti. La vostra esperienza vi ha portato a sviluppare qualche indicazione per le istituzioni scolastiche o per coloro che disegnano le policy pubbliche?
Questa sezione è proposta in collaborazione con Fondazione Italia Patria della Bellezza
Il Cielo Itinerante è un’associazione italiana non-profit fondata nel 2021 da Ersilia Vaudo, Alessia Mosca, Giovanna Dell’Erba con l’obiettivo di “portare il cielo dove non arriva”. Con un pulmino carico di esperimenti e telescopi, Il Cielo Itinerante offre a bambini e bambine che vivono in zone che presentano divari educativi la possibilità di una inedita esposizione alle meraviglie della scienza e dello Spazio.
L’Associazione considera la comprensione del linguaggio della matematica e della scienza, condizione essenziale per una società inclusiva e di pari opportunità.
Ivan Vitali
Direttore Amministrazione-Finanza-Controllo in È.one abitarègenerativo S.r.l. si occupa di amministrazione, finanza e controllo e di consulenza e sviluppo di progetti sociali con enti no profit e for profit.
Matteo Sana
direttore Sviluppo e Innovazione Sociale in È.one abitarègenerativo S.r.l. Alla presidenza di Abitare Condividere Coop. Edilizia, sta guidando la progettazione e realizzazione condivisa dell’iniziativa di abitare generativo Generavivo Bergamo via Guerrazzi.
Chiara Nogarotto
sociologa, coordinatrice della funzione marketing e comunicazione, coordinatrice di progetto nella funzione di community design per È.one abitarègenerativo S.r.l. Sociologa, si è laureata in Scienze sociali e organizzative e in Politiche pubbliche presso l’Università Cattolica di Milano.
ECOSISTEMA
La trasparenza si concretizza anche attraverso una reale governance condivisa: la cooperativa edilizia da quasi due anni vede cinque abitanti (4 persone fisiche, una rappresentante di persona giuridica) avere la maggioranza degli 8 seggi nel suo consiglio di amministrazione; vede i suoi abitanti-consiglieri attivare processi, gestire ruoli di responsabilità crescenti, prendere decisioni complesse, rappresentare il gruppo di abitanti nell’analisi e nella valutazione di aspetti chiave del futuro dell’iniziativa. L’assemblea dei soci è il reale spazio di confronto e discussione tra tutti i partecipanti.
Nell’iniziativa di Generavivo Bergamo non sono mancati ostacoli e imprevisti. Gli abitanti hanno affrontato riunioni allargate in cui il tema all’ordine del giorno era il riverbero sulle proprie tasche dell’aumento dei costi delle materie prime e delle complessità legate ad autorizzazioni, pratiche, garanzie, finanza; hanno provato sulla propria pelle il vuoto lasciato da chi ha fatto un pezzo di strada e ha poi lasciato il gruppo; hanno via via allargato il cerchio per accogliere tanti nuovi compagni di viaggio. Con un mutualismo che rimanda ai “pionieri di Rochdale” di due secoli fa, hanno partecipato e realizzato un sistema di finanziamento in cui ciascuno ha contribuito secondo le proprie possibilità, rendendo disponibile una provvista di liquidità che ha permesso di affrontare l’attesa dei tempi delle banche, le fasi più difficili dell’avvio dei lavori. Alcune persone, mediamente di età più anziana, così come persone mature e giovani, hanno versato alla cooperativa una quota di prestito soci superiore alla media statistica, in libertà e senza garanzie di alcun beneficio, consentendo così al progetto - proprio e di tutti - di vedere la luce e prendere forma.
La cooperativa sociale Namasté, tra i fondatori dell’iniziativa, a sua volta ha reso possibile superare una prima - altrimenti insormontabile - questione: quella della liquidità per acquisire il terreno. Lo spazio su cui sorgerà Generavivo Bergamo era un terreno di sua proprietà, ingombrato da un’immobile semidiroccato e ora abbattuto: attraverso un articolato processo che ha coinvolto il Comune di Bergamo, da fine 2022 il terreno è entrato giuridicamente nella disponibilità di Abitare Condividere, senza che si prevedesse un’immediata liquidazione monetaria, in quel momento impraticabile. La fiducia, la fides che tiene insieme le persone solo se ci sono scambi e relazioni: nell’etimo, quella corda di liuto che deve sempre essere ben tesa per dare il giusto suono, anche in questo caso ha preso una forma molto concreta, quella della permuta, attraverso cui la cooperativa Namasté riceverà solo a fine lavori il valore equivalente al suo terreno, in forma di unità abitative dove realizzare le proprie attività statutarie.
Il sentimento di forte fiducia costruito nel tempo tra gli sviluppatori dell’iniziativa e i futuri abitanti, i movimenti di supporto reciproco tra i partecipanti, la capacità di tenuta del gruppo di fronte alle difficoltà, sono probabilmente la conferma del potenziale generativo e del valore dei progetti Generavivo: questo mix di ingredienti sta reggendo alla sfida di rendere possibili, economicamente e finanziariamente, imprese altrimenti impraticabili secondo i criteri di mercato. Per questo progetto e altri che seguiranno, capaci di generare condivisione, reciprocità, mutualità, sarà sempre più stimolante trovare metriche in grado di dare piena misura dell’equilibrio, in costante evoluzione, tra “senso” e mercato, valori e valore economico, immateriale e materiale.
Generavivo: l'abitare generativo fondato su fiducia e condivisione
Vi è mai capitato di incrociare sotto casa un vostro vicino, vederlo abbassare lo sguardo senza un saluto, per poi ritrovarlo all’assemblea di condominio a litigare per futili questioni? Sarebbero molti gli aneddoti in grado di dare evidenza dell’isolamento in cui viviamo, appartati in alloggi difesi da porte blindate e sistemi di sicurezza all’avanguardia studiati per separare “ciò che sta dentro” da ciò che “deve rimanere fuori”. Si tratta dell’esito di decenni in cui la casa, da nido per la famiglia e nodo di un’articolata rete di relazioni, è stata ridotta a prodotto di mercato: lo sguardo al valore dell’investimento, alle opportunità di plusvalenza in una futura rivendita, è prevalso rispetto alla centralità del luogo dove poter sviluppare tratti di vita, reti di prossimità.
Per rileggere il modello casa-bene-oggetto, le iniziative Generavivo mettono al centro dell’abitare la proposta di relazioni autenticamente umane. Lo fanno attraverso progetti fondati su fiducia, trasparenza, collaborazione, con la consapevolezza che questi valori non sono il punto di partenza, ma il punto di arrivo di un percorso. In altri termini, la proposta di Generavivo è di un abitare in grado di sviluppare beni relazionali (M. Nussbaum, P. Donati, B. Gui, S. Zamagni, L. Bruni): beni immateriali,
che si generano e consumano solo in presenza di una relazione, che rappresenta l’aspetto arricchente ma non “pretendibile” nell’esecuzione di un contratto. Per fare questo, i potenziali soci sono da subito coinvolti nella visione secondo cui nessun sistema di regole, nessun contratto - di acquisto, di locazione - per quanto dettagliato e approfondito, sia garanzia di vicini gradevoli o che non genereranno esternalità negative. Sin dal primo incontro, viene condiviso con i futuri abitanti il fondamento antropologico del progetto: per sviluppare relazioni che vadano oltre le forme, che permettano di costruire legami forti, di fiducia solida, è richiesto di sperimentare, vivere relazioni trasparenti, dialogiche, di scambio - intrinsecamente rischiose - con il “diverso da me”. Questo obiettivo richiede tempo per progettare, desiderare, dare vita insieme alla comunità tra vicini, allo stile di relazioni che si desidera realizzare e godere; richiede tempo per sviluppare amicizia e condivisione, tempo per fare emergere e dare spazio alle divergenze, tempo per stare nello scontro e nella frustrazione, tempo per donare e per-donare, nella consapevolezza che nessun “leviatano” contrattuale interverrà per sottrarre quote di responsabilità di ciascuno. Un abitare generativo, una comunità pienamente umana e dunque imperfetta, fragile, di cui ciascuno è co-responsabile della quotidiana manutenzione: non è una favola a lieto fine, ma una costruzione del quotidiano. Il metodo proposto è differente dal mero acquisto di un immobile perché richiede di contribuire a generare - e manutenere - un bene comune, che può prendere le forme del condividere, organizzare, co-gestire spazi e aree aperte al quartiere; richiede di definire e ri-definire, di volta in volta, la prossemica e i confini di senso, senza la certezza matematica di un risultato aderente alle aspettative.
Questo modo di intendere l’abitare di vicinato, che chiamiamo “generativo”, si fonda su una cura condivisa, per non sovraccaricare qualcuno o trascurare altri, per evitare il rischio di “sovra consumo” del bene comune tipico della “tragedia dei commons” (Hardin); offre, al tempo stesso, l’opportunità che colui che è “altro da me”, possa essere per me - e io per lui - “prossimo”, sostegno nella quotidianità, occasione di crescita, opportunità di confronto.
A Bergamo, in via Guerrazzi, un gruppo di circa 50 famiglie ha risposto con passione e coraggio a questa sfida, diventando protagonista del progetto proposto dalla cooperativa Abitare Condividere: i futuri abitanti sono diventati soci, hanno prenotato la propria casa, sono diventati protagonisti della costruzione condivisa del proprio futuro.
Il focolare domestico, luogo di intimità familiare, diventa ponte per mettersi in contatto con ciò sta fuori dalle mura di casa e si riconnette alle dimensioni del lavoro, della cura, dell’educazione, della cultura. Con questo sguardo, gli spazi comuni all’interno dell’iniziativa divengono occasioni di incontro e di scambio - anche con il quartiere e la città - e opportunità per condividere semplici gesti di reciprocità. Una cucina comune per pranzi e cene conviviali, uno spazio studio-lavoro, una palestra per attività di benessere psico-fisico, un’area dedicata ai più piccoli, un deposito per gruppi di acquisto solidale, un ambulatorio medico-infermieristico: presidi di condivisione, custoditi dagli abitanti e aperti a tutti, secondo regole comuni, attraverso un percorso in cui si “responsabilizzano i desideri” (J. Dotti).
Oggi, a Bergamo, la costruzione delle abitazioni è quasi a metà strada, ma ben prima che il cantiere muovesse il primo passo, gli abitanti hanno iniziato un percorso di conoscenza, dialogo, condivisione, articolato su incontri dedicati a rendere concreta la fiducia, la partecipazione e il protagonismo attivo, partendo dai propri desideri, nel rispetto di quelli degli altri.
Accompagnati da attivatori sociali, esperti di relazione, progettisti, gli abitanti di Generavivo Bergamo hanno a lungo lavorato sulla preparazione alla vita di vicinato generativo: hanno individuato i valori portanti che orienteranno e guideranno la vita del luogo, identificati in “libertà”, “partecipazione”, “accoglienza”, “cura per l’ambiente” e fisicamente cementati nelle fondamenta della costruzione attraverso un momento collettivo dall’elevato valore simbolico; hanno discusso e scelto la conformazione e destinazione degli spazi condivisi al chiuso e all’aperto; hanno lavorato sui modelli di gestione di aree comuni e attività che vi si potranno realizzare. Idee, proposte e iniziative sono state frutto del contributo attivo di molte persone.
La cooperativa edilizia è diventata lo strumento e l’alleato per superare le asimmetrie informative (M. Spence, J. Stieglitz, G. Akerlof), per evitare il “market for lemons” (G. Akerlof) del mercato tradizionale, in cui, tipicamente, il costruttore ha una leva di vantaggio di informazioni, conoscenza e competenze, che può utilizzare a proprio favore rispetto all’acquirente, lato debole della contrattazione. L’astrazione della persona giuridica ha preso vita reale grazie ai soci, ai futuri abitanti; il reiterarsi di incontri, dialoghi, sintonie e distonie, guidato e accompagnato, la ha resa un organismo vivente, in cui i diversi punti di vista hanno trovato diritto di asilo e ascolto, le posizioni diverse sono state accolte, riprese, contestualizzate, per ricercare una composizione.
di Elena Granata
docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, è vicepresidente della Scuola di Economia Civile. È stata membro dello Staff Sherpa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, G7/G20 (2020-21) sui temi della biodiversità. Tra i suoi libri recenti: Il senso delle donne per la città (Einaudi, 2023); Ecolove (ed. Ambiente, 2022), con Fiore de Lettera; Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo (Einaudi, 2021); Biodivercity (Giunti, 2019).
È sufficiente entrare in una libreria per rendersi conto di quanto sia vivace la letteratura e la saggistica prodotta dalle donne negli ultimi anni e quanta (nuova) attenzione venga data alla prospettiva di genere; le ragazze studiano e sono brillanti, si laureano a pieni voti, lavorano con la stessa caparbietà dei maschi, le troviamo sempre più spesso a fare bene le stesse cose che sanno fare i loro coetanei: usano le tecnologie, sono brave nello sport, brillano nel campo della medicina e dell’ingegneria, sono talentuose in tutti i campi. Nessuno escluso.
Eppure, il mondo che le circonda, le città che abitano, gli spazi in cui si muovono assomigliano ancora troppo a quei libri di storia delle scuole medie che sfogliavo con i miei figli qualche anno fa, manuali belli e documentato, con contenuti multimediali, ma con un colossale omissis. Pagine e pagine, capitoli e capitoli, decenni e decenni: la storia è una sequenza di guerre, di crisi economiche, di colpi di stato, di armistizi e di ritirate; i morti si contano in cifre a otto lettere. In tutte queste pagine non c’è una donna, nemmeno una. Cancellate, rimosse, a milioni, a generazioni. Come se non fosse un problema, né per gli storici, né per la storia.
Il pensiero pratico delle donne sulla città
PENSIERO
bianche: tavole rotonde, summit, convegni, movimenti politici, salotti televisivi, manifesti politici, sinodi religiosi, talk show, sono consessi di (quasi soli) uomini. E la cosa suscita ancora pochissimo interesse.
Come le api, le donne lavorano, agiscono, fanno. Stanno nelle retrovie, tessono reti, spesso tengono in piedi organizzazioni complesse con il loro lavoro. Da loro dipende la vita di un alveare - dalle imprese alle città - che non contribuiscono a progettare, a cambiare, a immaginare. Prendono parte al mondo, senza poterlo davvero cambiare. Ma può esistere partecipazione vera delle persone senza cambiamento delle forme e delle regole del gioco e senza trasformazione reale del mondo?
Partecipare non significa solo prendere parte, nel senso in cui un ospite partecipa una cena, uno studente a un corso, un bambino un gioco. Ce lo ricorda Joëlle Zask, filosofa francese, nel suo Participer. Essai les formes dèmocratiques de la partecipation scritto nel 2011, che aggiunge altre due accezioni di partecipazione.
Partecipazione come possibilità di contribuire nel senso in cui chi partecipa a una conferenza fa una domanda, interagisce con il relatore, si contribuisce a un regalo, si dà una mano a qualcuno. È una forma di condivisione che avviene dentro una relazione. E come possibilità di partecipare ai benefici così come avviene in un’impresa dove gli individui partecipano ai benefici della società di cui fanno parte. Le donne vengono da una lunga storia di partecipazione (nel senso di prendere parte alla vita collettiva) ma senza possibilità di contribuire con il loro pensiero e ancora meno con la possibilità di partecipare ai benefici. Da qui dobbiamo ripartire e qualcosa sta cambiando.
Nella mia ricerca sul contributo femminile nel campo delle trasformazioni urbane, Il senso delle donne per la città (Einaudi, 2023) osservo un dato paradossale. Le donne tenute lontane dalla grande scala, dai progetti strategici, dalla pianificazione delle città, dai cantieri, hanno lavorato su temi un tempo ritenuti marginali e che oggi rivelano invece tutto il loro portato di innovazione: la ridefinizione dell’intimità e dello spazio domestico; la ricostruzione della natura e del paesaggio, in un’ottica di responsabilità verso il pianeta; la difesa della dimensione collettiva nella città, dello spazio pubblico e dei beni comuni come risorsa fondamentale.
Ma se osserviamo quello che è accaduto nelle scienze sociali o nel mondo dell’economia e del diritto potremmo riconoscere molte analogie: le donne sono state attente ai beni comuni, al capitale relazionale, alle comunità più fragili, alle politiche di inclusione, per citare solo alcuni temi.
Quello che fino a ieri ci era parso un limite insormontabile, un’ingiusta discriminazione che ha confinato le donne ad occuparsi di temi ritenuti più marginali, di relazioni interpersonali, di spazi urbani condivisi, suggerisce un nuovo protagonismo per le donne e un significativo cambio di paradigma. Come spesso accade è dai margini che si vede meglio, che si leggono le contraddizioni e si osserva l’incongruenza della realtà.
Le donne hanno osservato da vicino le città - nelle loro pratiche quotidiane - con il distacco che solo chi è escluso dai giochi può avere, maturando un pensiero pratico sulla città (una sorta di buon senso o, come lo definirebbe Raffaele La Capria, un senso comune delle cose) che oggi non possiamo trascurare e di cui peraltro loro stesse non sono ancora pienamente consapevoli.
È un pensiero pratico, che si fa largo ad una scala minuta, tra casa-e-casa, nei quartieri, nelle periferie, nelle economie e nelle organizzazioni locale dove le persone cercano nuovi modi di abitare e di vivere insieme.
È un pensiero che nasce nei luoghi. È nei luoghi che abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia, è nei luoghi che possiamo trovare soluzioni alla sfida energetica, attivando comunità intorno alla produzione e alla condivisione dell’energia; è nei luoghi che è tornata cruciale la produzione alimentare, che significa anche cura della terra e del paesaggio, è nei luoghi che affrontiamo la sfida climatica, promuovendo azioni concrete di rinaturalizzazione, di mitigazione ambientale, di contenimento degli effetti di siccità e inondazioni.
Chi resta a vivere nelle città esprime con più decisione una domanda di spazi aperti e pubblici, di parchi, di natura; vuole muoversi in modo diverso e trovare servizi in prossimità di casa. Prossimità e abitabilità degli spazi pubblici sono tornati nel dibattito intorno al futuro delle città, rimettendo al centro le strade, la presenza di sedute che consentono alle persone non solo di camminare ma anche di riposare, i parchi e i giardini, gli spazi per i bambini e per gli animali, le piste ciclabili, le isole pedonali. È dalla qualità di quello spazio intermedio e di prossimità che dipende il benessere e la salute delle persone.
Abbiamo un grandissimo bisogno di imprenditori, amministratori, urbanisti, sociologi che pensino, scrivano, ascoltino, discutano di vita nelle città, di prossimità, di ecologia, in modo radicalmente diverso. E dal momento che - salvo rare eccezioni - il campo urbano, la gestione delle organizzazioni e delle imprese, il governo e le politiche locali sono state tradizionalmente campi maschili, oggi questo compito spetta in primis alle donne: a loro tocca pensare, prendere la parola, ascoltare, discutere, scrivere, immaginare le città del futuro. Portando un punto di vista inedito. È di un grandissimo vuoto di pensiero e di visione di cui dobbiamo prenderci cura. Perché prima di ogni progetto di cambiamento, c’è il pensiero.
Eppure, il mondo che le circonda, le città che abitano, gli spazi in cui si muovono assomigliano ancora troppo a quei libri di storia delle scuole medie che sfogliavo con i miei figli qualche anno fa, manuali belli e documentato, con contenuti multimediali, ma con un colossale omissis. Pagine e pagine, capitoli e capitoli, decenni e decenni: la storia è una sequenza di guerre, di crisi economiche, di colpi di stato, di armistizi e di ritirate; i morti si contano in cifre a otto lettere. In tutte queste pagine non c’è una donna, nemmeno una. Cancellate, rimosse, a milioni, a generazioni. Come se non fosse un problema, né per gli storici, né per la storia.
Veniamo da una storia collettiva di sistematica mancanza di riconoscimento per quello che le donne hanno fatto, detto, pensato, scritto. Una rimozione che ha colpito persino quelle donne che in vita hanno conquistato posizioni sociali e culturali importanti. Dovremmo fare ristampare milioni di libri per mettere fine a questa colpevole dimenticanza e riempire le copie già stampate di “errata corrige”, un mare di carta e di ammende. Anche nel nostro tempo - che pure ha visto la più grande emancipazione delle donne, di tutti i tempi - le donne sono mosche
La generatività sociale è un modo per interrogarsi su come le organizzazioni contemporanee possono svilupparsi come soggetti capaci di accrescere la vita - mediante il loro operare concreto - senza distruggere il mondo.
Una questione che a tutt’oggi rimane aperta e che apre un campo enorme di ricerca e sperimentazione di nuove forme e soluzioni all’altezza delle sfide che abbiamo davanti a noi.
Ma cosa vuol dire essere organizzazioni neghentropiche e generative?
Allo stato attuale dei fatti non ci sono risposte esaurienti a questa domanda. Ciò di cui disponiamo sono alcune piste di lavoro attorno a cui si vanno aggregando quelle organizzazioni che capiscono il problema e che intendono affrontarlo in modo innovativo.
In queste pagine ne nominiamo tre.
In primo luogo, l’organizzazione neghentropica e generativa pensa e pratica la propria autonomia - che costituisce un valore imprescindibile - non in modo assoluto ma relazionale. In relazione a ciò che viene prima (la storia, la tradizione, etc.), a ciò che sta intorno (l’ambiente, il contesto sociale e istituzionale etc.) a ciò che viene dopo (le nuove generazioni, l’innovazione, etc,). E tutto questo non a discapito della capacità di iniziativa e/o di innovazione, bensì come leva per rafforzare lo sforzo innovativo che caratterizza l’impresa. E, con esso, il vantaggio competitivo. Come soggetto moderno, l’impresa esiste perché è capace di andare oltre, di innovare, di trasformare, di immaginare, di migliorare. Ma tale tratto distintivo va sempre più giocato nella consapevolezza del costitutivo legame che struttura la vita. Uno sguardo e una pratica che fa parte del dna della forma capitalistica italiana.
In secondo luogo, l’impresa neghentropica e generativa riconosce che, al di là dei fini strumentali per cui è costituita, la sua natura più profonda ha a che fare con costruzioni di mondi in cui la vita umana si possa esprimere e fiorire. Seguendo Donald Winnicot - il grande psicologo americano che ha lavorato sull’importanza dell’oggetto transizionale (la copertina di Linus, l’orsacchiotto…) - le organizzazioni neghentropiche e generative sanno che il prendersi cura della vita passa attraverso la concretezza del fare e dei processi produttivi. Senza però dimenticare che il vero punto attorno a cui oggi le persone sono disposte a ingaggiarsi è l’accrescimento della vita, propria e altrui. Un obiettivo raggiungibile creando mondi organizzativi coerenti. Ciò significa che il punto fondamentale da cui origina e a cui tende una impresa non sono tanto gli oggetti prodotti o i processi produttivi (che ovviamente rimangono importanti!), quanto piuttosto la vita e il suo accrescimento. A cominciare dalle persone che lavorano all’interno, passando dai fornitori, i clienti o le comunità nelle quali si è inseriti. La cosa interessante è che questo sguardo “umanistico” se da una parte espone a rischi di inefficienza e particolarismo, dall’altro costituisce un punto di differenza fondamentale che qualifica e ad avvantaggia le organizzazioni italiane.
Per questa ragione, ed è il terzo punto, le organizzazioni neghentropiche e generative sperimentano e mettono in pratica una nuova intelligenza che origina nella lettura della complessità della realtà e del modo di operare in essa. Si tratta della intelligenza della “cura”, termine che indica non un generico afflato morale, ma la capacità di operare a partire dalla comprensione e dal rispetto dei processi e delle dinamiche della vita. Di questa nuova intelligenza all’altezza dei tempi abbiamo estremo e urgente bisogno. Da questo punto di vista, le organizzazioni neghentropiche e generative sono chiamate a essere delle front runner in questa ricerca. Anche tenuto conto del ruolo fondamentale da loro svolto nelle società avanzate. L’intelligenza della cura - che poi è intelligenza della complessità - è la condizione per rendere davvero sostenibile il modello di sviluppo.
Arrivati a questo punto, siamo in grado di risemantizzare il ruolo che le organizzazioni possono svolgere all’interno delle società avanzate. Nella varietà delle forme (impresa, associazione, famiglia, chiesa, Stato etc) le organizzazioni svolgono un ruolo neghentropico e rigenerativo.
Se, come recitano le definizioni classiche, esse nascono per unire un gruppo di esseri umani nel perseguimento di un determinato obiettivo, ne deriva che la natura del fenomeno organizzativo è esattamente quella quella di costruire mondi (più o meno aperti) in cui la vita umana può svilupparsi trovando sempre nuovi equilibri (che per definizione non possono essere mai definitivi) tra più libertà (cioè più capacità di azione) e più legame (cioè, appunto, più organizzazione).
Nel corso degli ultimi secoli, la forma impresa - una tipo di organizzazione particolare che non esisteva in epoca premoderna - si è affermata come un soggetto particolarmente rilevante all’interno delle società moderne. Dapprima in modo quasi esclusivo all’interno del ciclo produzione-consumo (l’impresa manifatturiera). E poi in una serie molto ampia di attività (ospedali, scuole, pubblica amministrazione, banche etc).
Nella sua costituzione originaria - di cui molti autori, tra cui Max Weber ,hanno dato conto - l’impresa si è concentrata sulla massimizzazione del profitto. Ma, detto che il criterio della profittabilità rimane un parametro qualificante dell’impresa contemporanea, è chiaro che la complessità sociale e culturale delle nostre società richiede un arricchimento del purpose - cioè dello scopo di senso - perseguito. Il dibattito internazionale degli ultimi anni lo ha peraltro ampiamente documentato.
Come sappiamo, insieme alla potente spinta alla crescita, l’avvento dell’impresa ha comportato non pochi problemi. Basti pensare alle questioni dello sfruttamento e della alienazione del lavoro, due nodi spinosi da cui è scaturito un lungo conflitto sociale che nel corso del tempo si è però andato attenuando, pur senza risolversi completamente. Più di recente si è posta la stessa questione nei termini del rapporto tra le imprese e l’ambiente circostante, sia come ecosistema fisico (col tema della transizione ecologica), che come ecosistema sociale (col tema della responsabilità sociale).
Nella misura in cui l’economia è quella parte di organizzazione sociale deputata a produrre nuovi beni in vista di accrescere la vita umana disponibile; e di fronte ai tanti problemi entropici che il successo della crescita economica degli ultimi anni ci lascia in eredità, l’impresa avanzata si trova davanti a nuove domande.
L’etichetta sotto cui queste domande sono raccolte é quella della sostenibilità. Parola entrata ormai nel linguaggio comune e che proprio per questo rischia di perdere significato. Che cosa vuol dire essere sostenibili per un’impresa contemporanea?Come si misura il suo impatto sull’ambiente sociale e naturale circostante?
In che rapporto sta la sostenibilità con le trasformazioni tecnologiche legate alla digitalizzazione avanzata e all’intelligenza artificiale? E come si realizza un percorso verso un’economia sostenibile secondo giustizia (condizione per conservare il necessario consenso sociale)?
La cultura moderna ha reso possibile per milioni di persone passare da una condizione di dipendenza (dal patriarcato, dalla tradizione, dalla religione, dal capo azienda ecc.) all’indipendenza: cioè a una condizione di libertà intesa come autodeterminazione.
Realizzarsi, vivere una vita autentica sono diventate aspirazioni condivise da tutti da quando - nella seconda metà del XX secolo - è stato raggiunto dalla maggior parte della popolazione un livello di benessere, d’istruzione e di libertà sufficiente.
Il problema è che l’istanza dell’Io - che ha avuto un ruolo fondamentale degli ultimi decenni - ha teso ad assolutizzare la libertà individuale.Il problema è che, come abbiamo già notato, quella umana è sì una forma qualificata di vita libera. Ma non per questo irrelata.Di fronte alla situazione caotica (entropica) nella quale ci troviamo, la realtà ci sollecita a riconoscere che siamo tutti interdipendenti, cioè legati gli uni agli altri. Il mito dell’io (ma che vale anche per l’impresa o lo Stato “sovrani”) che non ha dipendenze, debiti o doveri nei confronti di chicchessia, non ha riscontro nella realtà. È una astrazione che, al punto di evoluzione a cui siamo arrivati, rischia di essere dannosa.
Anche l’idea di interdipendenza è però insufficiente. Il punto è che l’essere umano, a differenza di altre forme viventi e non, è in realtà “inter-indipendente”. Cioè caratterizzato dal paradosso di essere libero e legato insieme. L’idea astratta di una continua liberazione - secondo la quale il nostro (unico) problema è che non siamo mai abbastanza liberi - finisce per compromettere le stesse condizioni nella quale la libertà può in realtà fiorire.
Occorre dunque fare un passo in più rispetto all’idea di libertà che si è sviluppata nell’ultima metà del ‘900: la libertà nella sua pienezza non può avere a che fare solo con la scelta. Ma anche - e forse sopratutto - con la capacità di creare nuovi mondi e di partecipare alla costruzione di ciò che ancora non esiste.
Ma se ciò è vero, ne deriva allora che l’essere umano - e le forme organizzative e istituzionali che è in grado di costruire - è libero in quanto ha la facoltà di trasformare e innovare la realtà. Creando nuovi legami e nuovi mondi.
Come si può ben capire, si tratta di un passaggio decisivo. Perché, oltre alla facoltà di slegare - cioè di guadagnare l’indipendenza - la libertà umana si esprime positivamente in rapporto ai nuovi legami (nuovi mondi) che essa contribuisce a fare esistere.
Ovviamente la dimensione del legame si può esprimere in modi molto diversi: anche la violenza, lo sfruttamento, l’oppressione sono forme di relazione. La sfida - ed è qui che si sviluppa la prospettiva generativa - è quella di costruire mondi capaci di aumentare la vita per sé e per gli altri.
Possiamo così ridefinire la questione che la policrisi porta in superficie: negli ultimi decenni abbiano incrementato in maniera straordinaria la vita umana sulla terra. Ora è necessario riuscire a pensare nuove forme, capaci di accrescere la vita tenendo conto del vincolo relazionale (neghentropico) della nostra libertà.
Il mondo sociale è infatti l’ecosistema in cui la vita umana ha luogo. Ed è per questo che non ha nessun senso contrapporre, come si è fatto nella cultura degli ultimi decenni, l’io al contesto, la libertà all’organizzazione sociale, l’economia e l’ambiente. È pur vero che tra queste dimensioni esiste una tensione che non si potrà mai riconciliare fino in fondo. Ma il paradosso dell’inter-indipendenza sta proprio nella capacità di giocare continuamente questa tensione in senso trasformativo positivo. Realizzando, cioè, nuove forme meglio capaci di ospitare “più vita”. Alla fine è questa la giustificazione fondamentale della rilevanza che l’economia ha nelle nostre vite.
L’idea di sviluppo adeguatamente intesa ha a che fare esattamente con la creatività che sprigiona da questo processo. Da qui deriva anche l’idea di “più vita” che decidiamo di perseguire.
La scienza contemporanea insegna che l’intera realtà - e più specificatamente la vita - è costitutivamente relazione. Lo dice la fisica quantistica, lo dice la biologia, lo dicono le neuroscienze.
Più esattamente, il premio nobel Erwin Schrödinger ha affermato che la vita è un fenomeno “neghentropico” cioè di resistenza all’entropia (tendenza al disordine, alla disgregazione) attraverso una relazione dinamica con l’ambiente circostante. Gli organismi sono viventi, nel senso che sono in grado di realizzare una serie di stati provvisori di equilibrio - una condizione di metastabilità che coniuga stabilità e cambiamento all’interno di un determinato ecosistema - basati sullo scambio continuo con l’ambiente, che consente alla vita di esistere.
Questa affermazione vale anche per quella forma così particolare che è la vita umana. La quale è in grado di interagire con l’ambiente circostante con un grado di libertà che le altre forme viventi non hanno. Grazie all’autocoscienza e alla capacità di prendere le distanze dalla situazione nella quale si trova, l’essere umano ha la facoltà di conoscere ciò che lo circonda, di dargli significato (legein) e di trasformarlo (teukein). In questo senso, l’essere umano è in grado di fare un passo in più rispetto alle altre forme di vita: non solo la vita umana si mantiene, ma è capace di creare nuove forme (arte, tecnica, socialità, simboli, senso). Come scriveva Hannah Arendt, ogni persona, nella sia unicità, viene al mondo per “incominciare”: l’essere umano ha la facoltà di mettere al mondo ciò che ancora non c’è. Di creare, cioè, mondi dentro cui esprimere la propria vita. Insieme ad altri.
Diremo allora che la vita umana é sintropica.
La crisi nella quale ci troviamo in questo momento storico ha a che fare con il ritardo cognitivo tra quello che noi oggi sappiamo della vita (e in particolare della vita umana nella sua unicità) e le forme sociali economiche, politiche ereditate dalla modernità.
Cioè da quella formazione storica che, nata liberando la capacità di azione umana dalla cosmologia medievale, si è sviluppata attorno all’idea di sovranità. Sovranità dell’io, della persona giuridica (l’impresa moderna), dello Stato. Reggendosi sulla epistemologia scientifica che presuppone la separazione tra il soggetto e l’oggetto e l’attitudine analitica che permette di spacchettare la realtà nella sue componenti più elementari, la modernità ha reso possibile un enorme salto storico. Lo dimostra il fatto che la qualità della vita umana non è mai stata così alta: oggi viviamo di più e meglio rispetto ad ogni altre epoca storica. Un grande successo che va riconosciuto e valorizzato.
Tuttavia, all’apice delle sue realizzazioni, la società contemporanea si confronta con sfide epocali.I trent’anni di globalizzazione hanno permesso al mondo di realizzare un salto impensabile (il Pil del mondo è raddoppiato in vent’anni, tra il 1990 e il 2010, a una velocità mai vista prima nella storia). Ma lasciano in eredità un mondo altamente entropico: cioè frammentato e disorientato, in preda a shock sempre più frequenti e distruttivi. Una condizione di “policrisi” - come l’ha chiamata Edgar Morin - che suscita ansie e inquietudini profonde.
Un tale esito non è casuale, ma è il portato di una grave sottovalutazione: ciò che non abbiamo considerato é che l’aumento delle possibilità di vita moltiplicato per miliardi di singoli individui - cioè il contenuto fondamentale dell’idea di crescita economica affermatasi negli ultimi 40 anni - avrebbe avuto un impatto rilevante sul contesto ambientale e sociale circostante. E questo per la ragione sopra richiamata: “più vita umana” è un obiettivo che è stato raggiunto modificando in profondità l’equilibrio neghentropico del pianeta, con conseguenze che stiamo cominciando a capire solo adesso: i tanti problemi che l‘attuale fase storica pone in agenda (cambiamento climatico, disuguaglianza, crisi delle relazioni internazionali, populismi …) trovano tutti qui la loro radice comune: sono gli effetti inattesi di quel successo associato alla straordinaria crescita economica realizzata negli ultimi anni.Per districarsi nel tempo della policrisi, il problema è recuperare una comprensione più adeguata di quella forma particolare di vita che è la vita umana, caratterizzata da un’intrinseca libertà che non può però perdere la sua altrettanto costitutiva relazionalità.
Dove la questione di fondo è se, e a quali condizioni sia possibile accrescere la propria vita senza distruggere il mondo. Il che significa, nei termini del discorso che stiamo sviluppando, incorporare nel nostro modello di sviluppo la struttura (neghentropica e sintropica) della vita stessa.
Il Cielo Itinerante
Intervista a irene Valenti
Generatività Sociale:
società e generazione di
Valore pubblico
riflessioni del Professor Jacob Torfing
A. Santino
Auto-da-fé:
il coraggio e il rischio
L’esperienza di Zordan
P. Cappelleti, R. Della Valle
L'ORGANIZZAZIONE GENERATIVA
Accrescere la vita senza distruggere il mondo
M. Magatti
Coordinamento Scientifico:
Prof. Mauro Magatti,
Dott.ssa PhD Patrizia Cappelletti
ATTESA DEL TITOLO
attesa del sottotitolo.
G. Petrini
UPSKILL 4.0
Generatività e Design Thinking a sostegno delle imprese
G. Checchin
Indicazioni per un uso
(sempre più) consapevole
dell'AI
G. Beneventi
Generavivo
L’abitare generativo fondato su fiducia e condivisione
È.one abitarègenerativo
PENSIERO
1 - Generazione Lavoro
G.La Rocca2 - I giovani al centro del Rapporto Italia generativa
P. Cappelletti, A. Furegato
Tutto è portare a termine e poi generare.
Lasciar compiersi ogni impressione e
ogni germe d’un sentimento dentro di sé,
nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio
irraggiungibile alla propria ragione, e
attendere con profonda umiltà e pazienza
l’ora del parto d’una nuova chiarezza:
questo solo si chiama vivere da artista:
nel comprender come nel creare.
Qui non si misura il tempo, qui non vale
alcun termine e dieci anni son nulla.
Essere artisti vuol dire: non calcolare e
contare; maturare come l’albero, che non
incalza i suoi succhi e sta sereno nelle
tempeste di primavera senz’apprensione
che l’estate non possa venire. Ché l’estate
viene. Ma viene solo ai pazienti, che
attendono e stanno come se l’eternità
giacesse avanti a loro, tanto sono
tranquilli e vasti e sgombri d’ogni ansia.
Io l’imparo ogni giorno, l’imparo tra i
dolori, cui sono riconoscente: pazienza è
tutto!
Rainer Marila RilkeLetters to a young Poet
Il pensiero pratico delle donne sulla città
E. Granata
Auto-da-fé: il coraggio e il rischioL'esperienza di ZORDAN
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Indicazioni per un uso (sempre più) consapevole dell'AI<
Generatività Sociale: società e generazione di Valore Pubblico Riflessioni del Professor Jacob Torfing
Recentemente ha definito la governance generativa come “la capacità del settore pubblico di promuovere e supportare interazioni tra attori distribuiti coinvolti in processi emergenti di collaborazione, apprendimento e innovazione, dove il concetto di governance generativa ci permette di ripensare il settore pubblico come un'organizzazione di piattaforme che, invece di cercare di risolvere problemi complessi e turbolenti utilizzando solo le proprie risorse, crea arene collaborative coinvolgendo attori pubblici e privati nella co-creazione” (Torfing, 2024). La baseline concettuale si basa sulla teoria della "politica deliberativa" (ad es. Fung, 2006), la quale valuta gli input provenienti dall'ambiente e li integra attraverso un approccio "interattivo" che coinvolge attori pubblici, cittadini e/o stakeholders privati con vari gradi di relazione e tramite diversi possibili processi partecipativi.
Questo approccio apre spazi per nuovi ruoli manageriali in tutte le organizzazioni orientate al valore sociale, pubblico e condiviso che sono interessate a condurre processi complessi e trasversali di co-creazione, attraverso quello che definiamo "coordinamento relazionale” volto ad abbattere i silos di conoscenza e a generare congiuntamente valore per affrontare insieme problemi e/o opportunità sociali.Sembra paradossale accostare la teoria della generatività alle organizzazioni pubbliche che vengono sovente sovrapposte alla modalità organizzativa di tipo burocratico, che certamente ne rappresenta larga parte, sebbene occorra riconoscere che la burocrazia sia un modello organizzativo presente in molte organizzazioni e non solo pubbliche, come banche e grandi imprese. Tuttavia, se la generatività economica (non sociale) viene sfruttata oggi giorno da molte grandi imprese che usano un modello di business a piattaforma, è dunque lecito ed anche doveroso, in una logica di valore condiviso e pubblico, chiedersi come anche le organizzazioni pubbliche possano utilizzare la teoria e logiche della generatività in chiave di governance pubblica (ad es. Minervini, 2016), potenzialmente ideando, abilitando e gestendo piattaforme pubbliche. Le teorie esistenti della governance pubblica riconoscono infatti l'importanza della risoluzione collaborativa dei problemi, ma non comprendono a pieno il ruolo che il settore pubblico può svolgere nel promuoverla (Torfing et al., 2019).
Il concetto di governance generativa può quindi ispirare ricerche e pratiche che individuino i suoi meccanismi, l'impatto sulla società, le conseguenze amministrative e le implicazioni normative, economiche, politiche e sociali. Il management pubblico in Italia si trova in una fase cruciale. Dopo l'istituzionalizzazione delle riforme orientate verso un modello aziendale condotte negli anni '90, l’attuale contesto sociale, culturale, economico e politico richiede un'ulteriore evoluzione per evitare il rischio di burocratismo manageriale nelle amministrazioni pubbliche, un rischio le cui esternalità negative ricadono anche su altre organizzazioni e sul sistema Paese più in generale. Invece, la governance pubblica generativa, ad esempio informando e guidando una nuova relazione tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni dell'economia sociale, si presenta come una soluzione nuova e un promettente cambio di paradigma nelle relazioni tra attori economici per la generazione di valore condiviso e pubblico (Magatti, 2017; Sancino, 2022).
In conclusione, coniugando il pensiero del Professor Magatti e del Professor Torfing, si puo’ affermare che la generatività sociale è la teoria che ispira la pratica della co-creazione come soluzione amministrativa messa in campo dalle amministrazioni pubbliche, specialmente quelle locali (IFEL/ANCI, 2022), per rispondere a problemi e sfide sociali, generando valore condiviso e pubblico attraverso l’identificazione di opportunità per azioni generative da parte di attori diversi che convergono su obiettivi di interesse condiviso e pubblico (Sancino et al, 2023).
Per approfondire queste idee si possono consultare i video successivi in cui il Professor Torfing illustra la co-creazione come strategia di governance pubblica.
UPSKILL 4.0Generatività e Design Thinking a sostegno delle imprese
di Giuseppe la Rocca
direttore della Fondazione Comunitaria di Agrigento e Trapani, esperto di politiche di sviluppo locale e terzo settore, collabora con Genialis.
di Elena Granata
docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, è vicepresidente della Scuola di Economia Civile. È stata membro dello Staff Sherpa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, G7/G20 (2020-21) sui temi della biodiversità. Tra i suoi libri recenti: Il senso delle donne per la città (Einaudi, 2023); Ecolove (ed. Ambiente, 2022), con Fiore de Lettera; Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo (Einaudi, 2021); Biodivercity (Giunti, 2019).